Il ‘MES sanitario’ e le pressioni degli oligarchi

  1. di Pino Cabras.

Aumentano le pressioni sul Movimento 5 Stelle esercitate dal quotidiano ‘La Repubblica’, organo di una pluridecennale corrente ultraeuropeista delle oligarchie italiane. Lo vediamo nell’ultimo pensoso editoriale di Stefano Cappellini, intitolato “Mes, la rincorsa allo sfascio tra Lega e M5S”. Mette dentro lo stesso sacco tutti quelli che non osano entusiasmarsi di un’Europa che ai tempi delle crisi sistemiche si dimostra tragicamente deficitaria, avara e inefficiente.

Cappellini ci definisce i peggiori sovranisti d’Europa, «gli unici che non riconoscono un interesse nazionale neanche a pagarli». Immagino che per questo corifeo dell’austerity l’interesse nazionale consista nel piegare la testa davanti agli interessi nazionali altrui, farsi bastonare come la Grecia, fare ogni sorta di “riforma” e leggefornero, impoverirsi e infine gioire se i padroni del suo giornale vanno in Olanda a far rubare il gettito fiscale all’Italia.
È anche convinto che il MES – nella linea di credito per le spese sanitarie – sia senza condizionalità, e lo dice con la stessa sicurezza di uno che sa che il sole sorge al mattino e tramonta alla sera, che gli uccelli cinguettano, che l’acqua ci bagna. Il suo MES è innocuo come un tenero cucciolo di dalmata, e a sostegno cita con zelo fantozziano «l’autorevole stima dell’ex componente del board BCE», il direttor. lup. mann. figlio di putt. Lorenzo Bini Smaghi.
Questi autorevoli signori dimenticano un piccolo particolare. È lo stesso Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) che all’art. 136 (cioè dove si prevede e autorizza la creazione del MES) prescrive che «la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità».
Poi si sa come sono i rigoristi con il mercato degli altri. Mica si accontentano di scriverlo una volta. Lo Statuto del MES specifica in una decina di diversi articoli che l’assistenza finanziaria del meccanismo, qualsiasi sia il suo strumento creato, è sottoposta a rigide condizioni, stabilite attraverso memorandum che la legano indissolubilmente alla già poco flessibile normativa europea, nonché a forme di sorveglianza sulle politiche fiscali scandite da frequenti e penetranti raccomandazioni a cura della Commissione.

Però per Cappellini la nostra è una tesi «tutta ideologica e altrettanto spericolata». Capito lo stigma? Siamo ideologici, preconcetti, mica come lui che legge scrupolosamente il MES.
Gli deve essere però sfuggita la lettura delle conclusioni dell’Eurogruppo. I nostri partner nordeuropei sono stati ben chiari nel voler pretendere che momentanei allentamenti delle condizioni saranno seguiti dalle usuali condizioni, una volta terminata l’emergenza. Anche la “linea sanitaria” del MES ci sottoporrebbe insomma a sorveglianza rafforzata. È prerogativa del MES stabilire in corso d’opera «se la linea di credito continua ad essere adeguata o se è necessaria un’altra forma di assistenza finanziaria», dunque chiudere unilateralmente la linea in essere, quando a garba ai padroni del discorso europeo. E, in tal caso, lo Stato debitore deve «richiedere un programma di aggiustamento macroeconomico completo.» Lo dice l’art. 14 comma 6 del Trattato MES. A un certo punto ti diranno: “Ops, scatta la trappola!”

Sulle pagine di ‘Repubblica’ insomma ci esortano così: se vogliamo evitare la trojka e il MES pesante, dobbiamo prenderci il MES leggero. Che però ci porta la trojka e quei bei personaggini che ci diranno: potete pure crepare, ma pagate. Film già visto.

In questo articolo dell’organo dell’oligarchia una verità però c’è, in mezzo alle tante corbellerie ideologiche: il fatto che i futuri Eurobond sono «fin qui frenati dai veti di alcuni Paesi europei», e che seppure sarebbero “molto”, oggi sono un «molto ancora incerto», per cui un “nein” della Merkel ci potrebbe lasciare «senza paracadute». Il che aprirebbe un’autostrada al MES versione hard che piace a Marattin. Cioè austerità alla greca per trent’anni e “game over”. No grazie.

Qui non si tratta di inseguire facili consensi sulle reti sociali, come insinua l’editorialista. Né di disconoscere un preminente interesse nazionale. Ben al contrario, si tratta di irrobustire una risposta politica ed economica che non sia più prigioniera di un mondo finito, il mondo di Maastricht. Il trattato fu firmato 10290 giorni fa e non può pretendere di regolare ancora come se nulla fosse l’Europa della pandemia e del post-pandemia.
Che fare allora?

Degli eurobond fuori dalla logica germanocentrica possono essere una prima (insufficiente) risposta. Dire no al MES non è ideologia, è sopravvivenza di una nazione. A meno che non lo si rompa come un salvadanaio e ci prendiamo i soldi, con un trattato ad hoc.
Oggi servono esattamente soluzioni basate sull’interesse nazionale, con schiena dritta, senza le cedevolezze di un’infinita serie di ufficiali di collegamento che capitolavano per decenni davanti agli interessi altrui. Serve una banca centrale che faccia finalmente la banca centrale (la BCE è ancora in tempo, se non vuole lasciare spazio a soluzioni nazionali). Con manovre fiscali che rispondano alla nostra costituzione e non ai gestori di un paradiso fiscale del Nord Europa.

Cappellini chiude il suo articolo interiorizzando il ricatto degli usurai. Siccome in Italia cadono i ponti, la colpa è nostra, del M5S, se osiamo non accettare elemosine. Chissà quando capirà che il ponte di Genova e gli altri ponti li ha fatti cadere la logica di Maastricht. Che è quanto dobbiamo rovesciare per rinascere davvero. In nome della Costituzione, non dei fantasmi sovranisti che agitano il sonno degli oligarchi e dei loro servi.

!– wp:tadv/classic-paragraph /–>

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.