Il ministro degli esteri Tajani crede da anni che negare i dati di fatto della realtà fino al ridicolo combaci con l’attitudine dei diplomatici a smussare i toni e a trovare vie felpate alle asperità della politica internazionale. Regolarmente, nel tentativo di scimmiottare la saggezza, riesce nell’effetto opposto. Ad esempio, sulla recente sortita dell’ammiraglio Cavo Dragone al Financial Times, Tajani arriva a dire che in Italia è stata tradotta male dall’inglese. Solo che il cavaliere dell’Armata Cavodragone ha proprio considerato nel novero delle possibilità infliggere un “pre-emptive strike”, un “attacco preventivo”. Mica è un lapsus: è una follia strategica detta con naturalezza, come se fosse un’opzione “professionale” da sfogliare fra i tanti petali della margherita militare. Altro che “traduzione sbagliata”: l’ammiraglio ha inoculato nell’opinione pubblica occidentale l’idea che sia auspicabile imporre un “primo colpo” per scioccare e disarmare una potenza nucleare. In soccorso di Tajani sono arrivate legioni di arrampicatori di specchi che distinguono fra ciber-attacchi e attacchi cinetici, come se a Mosca, vedendosi colpiti con la logica del primo colpo, non scattassero tutti i protocolli legati a rispondere in termini bellici a un attacco comunque bellico.
E mentre i nostri generali giocano a Risiko, migliaia di studenti tedeschi scendono in piazza per dire no alla nuova leva che vuole ucrainizzare i paesi europei. A loro va la mia solidarietà: sono tra i più lucidi, oggi in Europa, ad avere ancora il coraggio di rifiutare di farsi trasformare in carne da cannone.
L’Armata Cavodragone