L’«Operazione Mammina»: cronache dal nuovo maccartismo sardo

 
Antefatto. L’8 novembre scorso a Calasetta, presso il Centro Velico, partecipo a una conferenza in cui presento il libro «Contro il “Sionismo Reale”», in cui – come nelle altre 40 città italiane in cui l’ho presentato quest’anno – parlo molto di Medio Oriente, ma vado a spaziare inevitabilmente anche sui tanti temi della “guerra mondiale a pezzi”. Tanto più perché in quella occasione presenta il suo libro anche il giornalista Simone Spiga, autore di «La spiga nell’occhio», un pamphlet che non parla di uncinetto e canasta, ma di argomenti tosti che affronta senza un grammo di politicamente corretto.
La NAFO-guerrilla sarda non ci sta e attacca l’amministrazione e gli autori. Veniamo soggetti a una campagna di articoli ospitati prima e dopo l’evento dal blog dell’ex assessore regionale Maninchedda e firmati da Francesco Nocco. Sono la variante isolana dei maccartisti che ovunque in Italia scatenano la caccia alle streghe contro fantomatici putiniani (da ultimo avete visto cosa è successo a Torino, dove i Don Abbondio salesiani hanno negato un teatro ai professori D’Orsi, Barbero e Canfora, trattati come propagandisti del Cremlino da silenziare). Il clima è questo. Il Partito del Riarmo, prima di arraffare i soldi nelle vostre tasche per distruggere le classi medie e far ingrassare i fabbricanti d’armi, già oggi sta armando i propagandisti interventisti, esattamente come oltre un secolo fa i guerrafondai europei pagavano Benito Mussolini affinché incendiasse le piazze e il dibattito con la voglia di guerra. Chi come noi vuole impedire la guerra su scala europea viene fatto oggetto di campagne mirate in stile maccartista.
Per un po’, al municipio di Calasetta non hanno sentore di tutto questo. Scrivono perfino un comunicato generico ma perfettamente democratico sulla libertà di parola. Ma i No Pax mica si accontentano: discutere in modo diverso dal punto di vista atlantista in un luogo pubblico, per loro, è puro sacrilegio. Così continuano a bersagliare gli amministratori di Calasetta sapendo che la media degli amministratori locali – di fronte alle pressioni di Pina Picierno o di qualunque loro emulo che applichi lo stesso manuale di delazione – è pronta a dire: «il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare.»
Il partito del riarmo non molla mai. Fino all’arma segreta: la mamma di Francesco Nocco.
Non ridete, è proprio così: il 6 dicembre cuore di mammina scrive un post accorato e indignato sostenendo che la conferenza di Calasetta avrebbe “offeso” il figlio e screditato il suo impegno in Ucraina. Chiede al Comune di dissociarsi ufficialmente e pretende scuse dall’amministrazione per aver concesso la sala. Il tutto senza indicare fatti concreti, ma basandosi su una presunta atmosfera ostile. È un appello emotivo che trasforma una discussione pubblica autorizzata in una questione familiare da “onore violato”. E dice che solo chi è stato in Ucraina fra le vittime può parlarne.
In calce al suo post scrivo il seguente rispettoso commento:
«Signora, le guerre sono luoghi controversi e crudeli dove le narrazioni non sono mai unidirezionali. Le forze armate sono condotte in genere da personaggi che da una parte e dall’altra non hanno come primi ispiratori i profeti della nonviolenza e non c’è grande guerra di cui ci si scelga la parte che non comporti crimini in grado di smentire qualsiasi retorica sull’eroismo adamantino. Io il 25 aprile festeggio convintamente la sconfitta del nazifascismo, per dire, ma so bene che la parte in cui mi riconosco distrusse Dresda e Tokyo in due notti, e poi Hiroshima e Nagasaki. Anche in Ucraina non è in corso una guerra eroica, bensì una guerra che si poteva evitare in tanti modi, ai quali le classi dirigenti europee hanno rinunciato, fino a far pagare un prezzo esorbitante a tutti. Nei miei incontri pubblici parlo di questo, non faccio propaganda. È vero, io non sono stato in Ucraina ma parlo anche di guerra, così come uno studioso può parlare dei danni della droga senza iniettarsi l’eroina. Ma detto questo, rispetto e considero importantissime le testimonianze dirette. Ad esempio, nelle zone di guerra (in guerra non dal 2022 ma dal 2014) ci sono stati diversi giornalisti (che conosco bene e personalmente), i quali hanno vissuto dall’altro lato del fronte o perfino nel mezzo degli scontri, dove hanno raccolto prove, materiali audiovisivi, racconti drammatici. Quando questi giornalisti sono stati coinvolti in iniziative in Sardegna, proprio suo figlio ha chiesto che non avessero spazi pubblici in cui poter dire la loro. Credo che questo sia un errore, certo dettato dalla passione con cui si sceglie la sua ombra del Vero. Ma la Verità è una cosa più completa. Chi fa parlare le voci che altrimenti verrebbero ignorate, lungi dal doversi vergognare, fa un umile servizio alla democrazia.»
Potrebbe essere un'immagine raffigurante spazio e il seguente testo "Questo Questoèvero è vero Questo Questo Questoèvero è vero Questa è Questaèlaverità la la verità"
Le allego anche un’immagine di alto valore simbolico sulla verità, che illustra come due percezioni opposte possano entrambe sembrare vere, ma sono proiezioni parziali di una realtà più complessa, che non coincide con nessuna delle due. È un piccolo trattato visivo sulla fallacia prospettica, sulla manipolazione delle narrazioni e sul fatto che la verità smette di essere tale quando ci si incolla a un’unica ombra.
Per tutta risposta, la donna che pretende le scuse del comune, cancella il suo post, mi banna, e poi – ho le mie fonti – lo ripubblica senza più il mio commento. C’era dunque il terreno spianato per l’Operazione Scuse Donabbondiane, perfezionata in un colloquio svoltosi il 6 dicembre fra il diletto figlioletto e il primo cittadino di Calasetta, per l’occasione affacciata su quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno.
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Ed ecco il post del sindaco Giovanni Puggioni. Lo potete leggere e apprezzare nella schermata. Come potete vedere, è un piccolo monumento all’incoerenza. Non c’era, non ha visto, non sa, se c’era dormiva, ma si scusa ugualmente, come chi paga un riscatto morale senza sapere per cosa: non se lo vuole domandare per carità, si deve solo liberare da queste pittime instancabili che vorrebbero fargli prendere una posizione. Non si usa, non conviene. Allude a colpe inesistenti, evoca torti mai descritti e arriva al capolavoro: la sala «concessa a patto che non si parlasse di politica». Una frase che nega il senso stesso di un luogo pubblico. Bellissimo quando parla di «un determinato libro presso il Centro Velico di Calasetta ad opera di autori che personalmente non conosco e non ho mai incontrato». E allora di cosa stiamo parlando?
Il paradosso si compie quando annuncia il rimedio: silenziare tutti tranne Nocco, core de mamma. Si passa da Manzoni a Villaggio. Sembra una gag di Fantozzi, con il sindaco nella parte dell’impiegato tremante: «Chiedo scusa, d’ora in poi parla solo lui». Cosa avevate mai capito? Il pluralismo consiste nel monologo, e una comunità intera viene trattata come una platea da zittire.
Una sala comunale non è un premio per chi urla di più e nemmeno per chi manda la mamma avanti. È un bene democratico. E qui qualcuno pare esserselo dimenticato.
Comunque, viva la mamma, viva Calenda, e viva pure Pigliaru, Maninchedda e Sciaboledda, tutti insieme appassionatamente, nel grande presepe del nuovo maccartismo e della carne da cannone.
Quanto al sindaco: per il remake di Sandokan non lo hanno preso, dicono. Ma per i Promessi Sposi c’è sempre un posto garantito. Il ruolo lo indovinate da soli.

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