Barack Obush e lo spionaggio totale

di Pino Cabras – da Megachip.

Giornali e siti di tutto il mondo riprendono divertiti la prima pagina dell’Huffington Post, che cavalca lo scandalo sullo spionaggio di massa e spara un titolo cubitale: GEORGE W. OBAMA. Più sotto al titolone dell HuffPost, ecco un’illustrazione: un morphing fra la faccia di Bush e quella
di Barack. Mi suona tutto così familiare, avendo io scritto nel 2011, assieme a
Giulietto Chiesa, un libro intitolato “Barack Obush“.

L’edizione russa, intitolata «Global’naja Matrica» (ossia “La Matrix
globale
“, titolo quanto mai attuale), ha in copertina proprio il morphing fra i due ultimi presidenti
USA. Come spesso accade, i grandi media arrivano sulle cose con un ritardo di
anni.


Nel frattempo, gli scettici a targhe alterne ci avevano inondato di
richieste: le prove, le prove di quel che dite!
Se raccontavamo in rete quel che ora è ovunque, orde di troll non
volevano concederci un centimetro, ci inondavano di provocazioni,
frasi irritanti, insulti, squadrismo elettronico, “character assassination”, diversioni fuori tema o semplicemente
senza senso, con l’obiettivo di intralciare la comunicazione, denigrarci.
Per
loro eravamo i «complottisti» (il neologismo-truffa del nuovo secolo). Non
capivano (o non volevano capire) che non inseguivamo complotti, ma descrivevamo
un modo di funzionare del potere: sempre più opaco, menzognero, segreto, sempre
più lontano dalle divisioni tradizionali dei poteri, e sempre più condizionato
da strutture incentrate sull’uso massiccio e
spregiudicato delle telecomunicazioni.
Nel libro abbiamo descritto così questo
fenomeno:
«Sullo sfondo del Patriot Act, la
legge liberticida votata da Bush e ri-votata senza tentennamenti da Obama, si è
dunque formata un’enorme rete parallela, che agisce in nome della sicurezza. Strutture non
trasparenti, semi-private ma coperte da strati di legittimazione (e ingenti
fondi) pubblici, sono diventate via via più importanti, costose e letteralmente
“incontrollabili”.
L’11 settembre 2001, questa
entità esisteva già nel corpo degli apparati USA. Fu quel giorno che decise di
diventare una metastasi. Obama non ha nemmeno provato a cambiarla.
Chissà in che modo l’attuale
inquilino della Casa Bianca interpreta la frase che pronunciò Benjamin Franklin
agli albori della storia degli Stati Uniti: “Chi
è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di
temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza”
».
La risposta al nostro
interrogativo è arrivata adesso: il presidente democratico dichiara che in nome
della «sicurezza» tutto quel sistema è legittimo.

Obama rivendica un sistema che
legge le e-mail di tutti in tutto il mondo, sa cosa spendiamo e dove, classifica
i nostri gusti individuali, carpisce tutti i segreti industriali, sa a chi
telefoniamo
, quali amici abbiamo, e molto, moltissimo altro ancora, nella vita
di tutti i cittadini, tutte le organizzazioni, tutti gli apparati.

Nessun potere totalitario nella
storia
ha mai avuto accesso a una simile completezza di profili individuali né
ha mai potuto agire altrettanto a fondo dentro gli uffici, fino ad avervi degli
occhi per vedere tutto, quando voleva: con le webcam attivate segretamente, con
la lettura diretta dei nostri documenti e delle nostre schermate.

Di fronte a una simile
dichiarazione di guerra alle Costituzioni e alle sovranità di tutto il mondo ci
si aspetterebbe qualche reazione, almeno per non guadagnarsi la lucidissima
invettiva di Franklin: non meritare «né la libertà né la sicurezza». 
Al momento
c’è solo qualche debole reazione degli eurocrati, come quella del commissario
agli affari interni Cecilia Malmstroem: «Siamo naturalmente preoccupati per le
possibili conseguenze sulla privacy dei cittadini europei, ma è presto per
trarre delle conclusioni», ha affermato la Malmstroem. Questo sì che è ‘sopire
e troncare’. E ha promesso: «Contatteremo la nostra controparte americana per
avere ulteriori informazioni». Se questo scambio transatlantico sarà tempestivo
come nel caso dei dati interbancari, staremo freschi.

Manco
a dirlo, sinora, politici italiani non pervenuti.
Figuriamoci
se Enrico Bilderberg Letta dirà qualcosa. E neanche Gianroberto Casaleggio, se è per
questo, lui che prevede in futuro una guerra mondiale in cui le dittature
orientali “orwelliane” saranno sconfitte dall’occidente di Google. Sì, Google,
ossia una delle entità più orwellianamente compromesse con il sistema, come
appare nello scandalo di questi giorni. Qualche aggiustamento di prospettiva
servirà anche dalle parti dell’opposizione.
In ogni caso l’Imperatore è nudo,
e quindi i silenzi, le politiche sbagliate e le distrazioni saranno messi a
dura prova. La retorica obamiana è a pezzi. Nemmeno l’Italia potrà fare finta
di nulla.

Obama ha realizzato delle
discontinuità nella narrazione del potere rispetto al predecessore, e a molti
ingenui questo potrà ancora bastare. Ma Obama è in realtà un continuatore dello
Stato profondo, che i presidenti non osano cambiare. 
Quel grumo oscuro,
impersonale e potente, viene semplicemente assecondato nelle sue evoluzioni
(anche quando le evoluzioni agiscono come crescite tumorali negli equilibri dei
poteri). Oggi il presidente va al servizio dello Stato profondo – apparati,
comitati d’affari, complesso militare industriale, reti di spionaggio – dando sempre più volume agli apparati “securitari”.
Il
capitolo finale di Barack Obush
è
dedicato proprio alla descrizione delle cause di questa continuità, che
resistono anche alla diversa stoffa degli interpreti sulla scena del potere, perfino
quando a un buono a nulla capace di tutto come George W. Bush succede un
presidente cool che si becca il Nobel
per la Pace “a prescindere”.
Preso dai discorsi su Google, ho
digitato “Barack Obush”, e fra le prime voci in lista trovo una recensione negativa che mi era sfuggita, apparsa nel 2011 su Giornalettismo e opera di un tizio, tale John B., che non si era
nemmeno preso la briga di leggere il libro
, incorrendo così nell’incidente più
squallido che possa capitare a un recensore.

No, non parlo dei suoi misteriosi
cenni a «nostalgici sognatori di quella rivoluzione delle masse operaie che non
si è mai concretizzata», che devono essere una scopiazzatura di un freschissimo
discorso di Mario Scelba, e tralascio anche altri passaggi che dimostrano che il
recensore ha “letto” il libro con la tecnica di lettura veloce di Woody Allen,
quando questi diceva di aver divorato Guerra e Pace in sette minuti (“Parlava
di certi russi”).
Il
centro dello squallore è la
lezioncina che John B. ci impartisce: «Nessun uomo al mondo può andare
alla
presidenza degli Stati Uniti e cambiare in pochi anni la rotta inerziale
di una
simile massa. Si possono fare aggiusti di traiettoria, si possono fare
piccoli
spostamenti per bilanciare meglio e diversamente i pesi, niente più.» Se
avesse
letto il libro, era esattamente quel che spiegavamo. Ma per John B. la
lettura di ciò che si recensisce è un optional. In tedesco
i parolai a vuoto come lui li definiscono Sprachpedanten.

Comunque il recensor precox di Giornalettismo non è l’unico Sprachpedant a piede libero. Potremo
scommettere che legioni di giureconsulti improvvisati proveranno a giustificare
l’ingiustificabile
, e ci vorranno insegnare che tutta la libertà che perdiamo è
per il nostro bene, nell’era di Barack Obush.
Potremo provare a resistere alle
loro menzogne discutendone in una mailing list, o in una teleconferenza,
salutando nel mentre i robot delle agenzie di spionaggio americane in ascolto
come un tempo si salutava il maresciallo delle rudimentali stazioni di ascolto
analogiche.

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