David Griffin: necessario “un nuovo sguardo sull’11 settembre”

di Simone Santini – clarissa.it

David Ray Griffin, teologo, professore e ricercatore americano, è uno dei maggiori esponenti negli Stati Uniti del Movimento per la Verità sull’11 settembre. Autore di numerosi libri e studi sull’argomento (tra cui i più celebri 11 settembre – La nuova Pearl Harbor e Rapporto della Commissione 9-11: omissioni e distorsioni), si trova attualmente in Europa per una serie di conferenze tese a rilanciare la proposta di istituire una Commissione d’inchiesta indipendente e per fare il punto sulle ricerche e le investigazioni alternative, in continuo progresso.
Nel corso dei suoi incontri, intitolati “Un Nuovo Sguardo sull’11 settembre”, Griffin sollecita i sostenitori del Movimento per la Verità sull’ 11 settembre a continuare i loro sforzi in un momento delicatissimo. Negli Stati Uniti, infatti, la fine dell’amministrazione Bush e di alcune sue politiche, strettamente connesse all’11 settembre, rischiano da un lato di disincentivare la richiesta di verità, e dall’altro l’avvento dell’era Obama non sembra portare alcuna novità o speranza. Tuttavia, secondo Griffin, non si deve cedere alle assuefazioni poiché alcuni frutti avvelenati dell’11 settembre, come la guerra in Afghanistan, restano più che mai sul tappeto e l’attuale congiuntura politica è il momento migliore per sperare in una nuova inchiesta.
Griffin parte, nelle sue analisi, da un presupposto metodologico fondamentale. Secondo la percezione comune, nella verifica di ciò che accadde l’11 settembre si confrontano una versione ufficiale (la verità, fino a prova contraria) ed alcune versioni alternative equiparate a più o meno fantasiose “teorie della cospirazione”. Il campo deve subito essere sgombrato da questo fraintendimento.
Dice Griffin: “Le persone che credono alla teoria ufficiale sull’ 11 settembre soprannominano sdegnosamente i membri del Movimento per la Verità come «seguaci della teoria del complotto». Ma questo è irrazionale […] Credere ad una teoria del complotto, a proposito di un qualunque avvenimento, significa semplicemente credere che questo sia il frutto di una cospirazione. Secondo l’interpretazione dell’11/9 data dal tandem Bush-Cheney, che è diventata la versione ufficiale, gli attentati furono l’esito di una cospirazione ordita da Osama bin Laden e 19 membri di Al-Qaeda. Questa versione è, conseguentemente, «una teoria del complotto». Questo significa che ognuno difende una propria teoria del complotto, dunque il dibattito sull’11/9 non è tra teorizzatori e anti-teorizzatori di complotti. Si tratta semplicemente di un dibattito tra coloro che accettano la teoria del complotto dell’amministrazione Bush-Cheney, e coloro che sostengono una teoria alternativa, secondo cui l’11/9 fu il prodotto di un complotto interno a questa amministrazione. Dunque la sola domanda razionale da porsi è: quale teoria è meglio sostenuta da elementi di prova?”
Cosa non funziona, dunque, nella teoria ufficiale del complotto? Griffin sottolinea soprattutto due elementi, ancora, metodologici.
Innanzi tutto la teoria ufficiale deriva da un rapporto edito dalla Commissione d’inchiesta sull’11/9. Una commissione affatto imparziale, poiché malgrado apparentemente fosse presieduta in maniera bi-partisan da due esponenti provenienti l’uno dal partito repubblicano, Thomas Keane, e l’altro da quello democratico, Lee Hamilton, di fatto la commissione ed i suoi 85 membri erano diretti da Philip Zelikow, membro organico dell’amministrazione Bush. Il New York Times rivelò che Zelikow era in stretto contatto con Condoleeza Rice e Karl Rove, il massimo consigliere di Bush, e che il rapporto era già stato delineato da Zelikow, che ne aveva addirittura predisposto i capitoli con relativi titoli e sottotitoli, ancor prima che la Commissione cominciasse il suo lavoro.
Se dunque la Commissione non era imparziale, non lo era nemmeno il NIST (National Institute of Standards and Technology) sulle cui perizie tecniche la commissione si è basata. Il NIST è una agenzia governativa che dipende dal ministero del Commercio e che alla sua guida aveva un presidente nominato dall’amministrazione Bush. Un dipendente anziano del NIST ha rivelato che l’agenzia era stata “largamente deviata dal campo scientifico verso il campo politico. [Gli scienziati] avevano perso la loro indipendenza scientifica e non erano niente più che meri ‘esecutori’. Tutto ciò che gli esecutori producevano era filtrato dalla direzione e valutato secondo criteri politici prima di essere pubblicato”. Oltre questo, tutti i rapporti del NIST sul World Trade Center dovevano essere approvati dalla NSA (Agenzia per la Sicurezza Nazionale) e dall’Ufficio Management e Budget, diramazione diretta dell’Ufficio Esecutivo del presidente Bush.
Di contro, il Movimento per la Verità sull’11 settembre si è nettamente affrancato da quell’immagine che i suoi detrattori gli avevano appiccicato addosso di “banda di marmocchi da internet” che non sanno nulla della realtà e senza alcuna competenza scientifica o militare. Griffin ricorda che oggi alla guida del movimento ci sono scienziati che hanno creato il Comitato scientifico per una Inchiesta sull’11/9, mentre docenti di fisica e chimica hanno dato vita alla Organizzazione universitaria per la Verità e Giustizia sull’ 11/9 che ha già pubblicato numerosi studi su riviste scientifiche. La più celebre di queste ricerche è stata condotta dal professore di chimica dell’Università di Copenaghen Niels Harrit, e pubblicata sul Open Chemical Physics Journal, che ha rinvenuto nelle polveri del WTC particelle dell’esplosivo militare ‘termite’ usato per liquefare l’acciaio, e che non avrebbero dovuto esserci se le Torri fossero crollate, come pretende la teoria ufficiale del complotto, in seguito agli “incendi ed alla gravità”.
Ma se le analisi chimiche e fisiche non sono sufficienti, a supporto della teoria alternativa del complotto è giunto il comitato di “Architetti ed Ingegneri per la Verità sull’11 settembre” fondato da Richard Gage e di cui circa 600 esperti hanno firmato la petizione per l’apertura di una nuova inchiesta. Fra loro Jack Keller, professore emerito del genio civile dell’Università dello Utah, ha dichiarato che il crollo del grattacielo numero 7 del WTC è “chiaramente il risultato di una demolizione controllata”, allo stesso modo di due professori emeriti di ingegneria strutturale dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia.
Insieme a loro hanno creato organizzazioni per la ricerca sull’11 settembre associazioni di pompieri, reduci dell’esercito, piloti di linea e ufficiali militari. Ognuna di queste, nel suo ambito di conoscenza, ha sollevato dubbi sulla teoria ufficiale del complotto, ritenendola spesso semplicemente “irricevibile”. Ultima nata è una organizzazione di appartenenti ai servizi di sicurezza. Un ufficiale anziano della CIA, William Christison, ha scritto: “Per quattro anni e mezzo ho rifiutato categoricamente di prestare una seria attenzione alle teorie del complotto sull’11/9… ma poi, non senza tormenti, ho cambiato idea… allo stato attuale penso esistano prove convincenti che questi attentati non si sono svolti nel modo in cui l’amministrazione Bush e la Commissione d’inchiesta ci hanno voluto far credere”.
David Griffin a questo punto è netto: “Tra gli esperti dei vari settori che si sono occupati della vicenda, il peso dell’opinione scientifica e professionale propende ormai dalla parte del Movimento per la Verità sull’11/9. Sono più di un migliaio ad essersi pubblicamente espressi sulla teoria ufficiale, e praticamente nessun scienziato o professionista l’ha sostenuta apertamente – ad eccezione di quelli che non sono indipendenti e la cui carriera sarebbe minacciata se rifiutassero di farlo. Questo ultimo punto è importante perché come sosterrebbe Sinclair Lewis, ‘è difficile far capire qualcosa a qualcuno se il suo salario dipende dal non capire’. Ad eccezione di queste persone, praticamente tutti gli esperti dei settori interessati che hanno studiato seriamente la questione, rigettano la teoria ufficiale del complotto”.
Ma perché i giornali e i media non si occupano di questi argomenti? Forse, come ricorda Griffin, i giornalisti rifiutano di lavorare sulla “storia vecchia”. Eppure gli elementi nuovi sono numerosi, spesso forniti dagli stessi enti statali che in un primo momento erano stati incaricati di difendere la versione ufficiale,.
Ad esempio il responsabile dell’FBI dell’ufficio dei ricercati, «Most Wanted Terrorists», ha spiegato perché Osama bin Laden non compare nella lista dei responsabili degli attacchi dell’11/9 rispondendo alla domanda di un giornalista investigativo: “Non disponiamo di alcuna prova formale che colleghi Osama bin Laden all’11 settembre”.
Un altro esempio riguarda le telefonate partite da telefoni cellulari di persone che si trovavano a bordo degli aerei dirottati e che avvertivano i propri familiari su quanto stava avvenendo. Il più celebre tra questi episodi riguarda Deena Burnett che ricevette dal marito Tom, che si trovava sul volo UA93 schiantatosi in Pennsylvania, diverse telefonate e che vide apparire sul proprio apparecchio ricevente il numero del telefono del marito. Ma durante il processo a Zacharias Moussaoui, il cosiddetto ventesimo terrorista dell’11/9, l’FBI ha presentato un rapporto secondo cui tra le 37 chiamate provenienti dal volo UA93 solo due venivano da telefoni cellulari, e furono possibili solo quando l’aereo si trovava a bassa quota e prossimo allo schianto. L’FBI sostiene che i familiari che ritengono di aver ricevuto chiamate da telefoni cellulari dei congiunti si sono sbagliati. Chi fece allora quelle chiamate? Forse quei telefoni cellulari furono clonati e magari le voci alterate?
Un’altra chiamata celebre fu quella della conduttrice della CNN Barbara Olson dal volo AA77, che si sarebbe schiantato sul Pentagono, al marito Ted Olson, procuratore generale al ministero della giustizia. L’uomo dichiarò che la moglie lo aveva informato che terroristi armati di taglierini avevano dirottato l’aereo. Quella chiamata è stata molto importante perché taluni complottisti avevano ritenuto che il volo AA77 fosse già caduto nell’Ohio, mentre la chiamata avrebbe dimostrato che l’aero era ancora in volo. Ma di nuovo l’FBI sostiene in base ai tabulati che la telefonata di fatto non ci fu, si trattò di un tentativo non riuscito di chiamata la cui durata fu di “zero” secondi. Chi si è sbagliato, l’FBI o Ted Olson?
David Griffin conclude le sue considerazioni riportando alla ribalta gli avvenimenti attorno al grattacielo numero 7 del WTC, considerato il “tallone d’Achille” della versione ufficiale, e di cui annuncia essere l’argomento del suo prossimo libro. A lungo l’edificio 7 è stato ignorato dai fautori della teoria ufficiale del complotto, il Rapporto della Commissione d’inchiesta non lo cita nemmeno.
Numerosi esperti hanno considerato il crollo di quel palazzo come causato in tutta evidenza da una demolizione controllata: il palazzo non era stato colpito da aerei; gli incendi erano limitati e riguardavano solo alcuni piani; il palazzo è caduto verticalmente, dal basso, a velocità di caduta libera, polverizzandosi.
Come il già citato professor Harrit, un altro ricercatore, il fisico Steven Jones, ha trovato particelle della nano-termite tra le polveri del palazzo ed altre micro-particelle che avrebbero potuto formarsi solo a temperature molto superiori rispetto a quelle determinate da incendi.
Il recente rapporto del NIST sull’edificio 7, dopo che era stato rinviato di anno in anno, ha visto la luce ma ha clamorosamente ignorato tutte queste analisi fisiche e chimiche. Alla domanda diretta al portavoce del NIST, Michael Newman, perché non fossero state cercate tracce di esplosivo tra i detriti del WTC, l’uomo ha risposto grottescamente: “Non avevamo alcuna prova che ci fossero esplosivi. A cercare qualcosa che non c’è si perde solo tempo… e i soldi dei contribuenti”.
Drammatica la vicenda di un testimone oculare sulla fine dell’edificio 7, Barry Jennings, del Dipartimento per gli Alloggi della città di New York che in quel palazzo aveva i suoi uffici. Jennings dichiarò di aver sentito una fortissima esplosione quella mattina proveniente dai piani inferiori quando ormai la struttura era stata evacuata. In seguito Rudolf Giuliani, all’epoca sindaco della città che lì aveva l’Ufficio per la gestione delle emergenze, dichiarerà che quell’esplosione era in realtà l’eco rimbombante del crollo della Torre Nord. Ma tra la cronologia di Giuliani e quella riportata da Jennings c’è un’ora di differenza. La sua testimonianza è stata registrata per il film documentario Loose Change Final Cut, ma prima della diffusione Jennings chiese che la sua intervista fosse ritirata perché temeva delle conseguenze. Poco dopo Barry Jennings morirà, improvvisamente, all’età di 53 anni. L’intervista è rimasta, a futura memoria, diffusa via internet.

Fonte: http://www.voltairenet.org/article159749.html

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