Ego te baptizo mastermind

di Pino Cabras

Bush e i suoi amici ci hanno detto per anni che Osāma bin Lāden era la mente dell’11/9. Ma l’unico straccio di processo sono riusciti ad iniziarlo a carico di Khalid Shaikh Mohammed, il famoso KSM.

In tempi di penuria, anche nel sacro si faceva di necessità virtù. E i prelati, se al venerdì c’era solo carne, la benedivano lo stesso con la formula: “Ego te baptizo piscem”.
L’estenuante Quaresima dell’amministrazione Bush funziona allo stesso modo.
A officiare il rito della rinomina è stata la portavoce della Casa Bianca, Dana Perino, nel corso di una conferenza stampa a sette anni dai mega-attentati.

Ecco il botta e risposta con un giornalista:

«Ma è Osāma bin Lāden quello che – Lei continua a parlare dei suoi luogotenenti, e va bene, sono importantissimi – ma era Osāma bin Lāden la mente dell’11/9…»
Perino: «No, era Khalid Shaikh Mohammed ad essere la mente dell’11/9, e si trova in prigione, adesso».

Bugia più bugia meno, “ego te baptizo mastermind”: per la Casa Bianca, non bin Lāden ma KSM è dunque il vero responsabile, il supremo architetto di ogni attentato realizzato o soltanto pianificato.
In anni di torture, Khalid avrebbe confessato di aver fatto ogni cosa di cui sia accusata al-Qā‘ida, dalla A alla Z. Incluso progettare un attentato a un grattacielo inesistente, a Seattle.
La portavoce ufficiale di Bush, a differenza dei portavoce ufficiosi sparsi in mille redazioni e siti web, ha dato dunque conferma all’anomalia che molti di noi avevano notato: anche l’FBI ha inserito sì Osāma nella lista dei “Most Wanted” per altri attentati, ma NON per l’11 settembre 2001.
Non c’erano affatto prove per istituire un normale processo. Perciò l’incriminazione di Osāma era tutta politica, sebbene non del tutto extragiuridica, tanto è vero che ha fornito il pretesto per le decisioni che nel 2001 hanno portato alla guerra in Afghanistan, prima tappa della Guerra Infinita.
Niente bin Lāden, dunque. Ma siamo sicuri anche di KSM?
Perfino i caporioni della Commissione d’inchiesta sull’11/9 si sono sentiti in dovere di diffidare delle confessioni estorte in spregio a secoli di civiltà giuridica. Proprio le tre persone che avevano rivestito le più alte cariche in quella commissione (Lee Hamilton, Thomas Kean e l’ex direttore esecutivo Philip Zelikow), sono infatti giunte a denunciare apertamente di essere state “consapevolmente impedite” nella ricerca della verità.
Il memorandum di denuncia è composto di sette pagine uscite dalla penna di Zelikow nel dicembre 2007. Poche settimane prima si era aperto un putiferio fra CIA ed Esecutivo. Dapprima era emerso lo scandalo delle rivelazioni secondo cui la CIA avrebbe distrutto, a novembre 2005, diverse imbarazzanti registrazioni video degli interrogatori di detenuti accusati di essere membri di al-Qā‘ida, con ogni probabilità immagini di torture.
Poi lo scandalo si estese fino a toccare alcuni eventi cruciali del 2003 e del 2004, un periodo in cui l’inchiesta ufficiale sull’11 settembre era ancora in corso.
La CIA sostiene di aver fornito tutti i materiali richiesti. I tre della Commissione hanno osservato con forza che la CIA era tenuta a dare anche documenti non richiesti. Possiamo sorprenderci dell’asprezza dello scontro, ma a ben leggere il Rapporto a suo tempo pubblicato, c’erano già delle chiose di prudente presa di distanza. A pag. 146 del Rapporto, in un riquadro ben distinto graficamente, i commissari descrivono le occasioni in cui si erano avvalsi dei contributi d’indagine originati dalla CIA. I commissari sottolineano che i capitoli 5 e 7 del Rapporto

«si affidano fortemente alle informazioni ottenute dai membri di al-Qā‘ida catturati. Valutare la verità delle dichiarazioni di questi testimoni – nemici giurati degli Stati Uniti – è cosa problematica. Il nostro accesso ad essi è stato limitato all’esame dei rapporti d’intelligence basati sulle comunicazioni ricevute dai luoghi in cui i veri interrogatori avevano luogo.» Il valore delle confessioni allora riportate era dubbio anche per la Commissione, tanto che scriveva:

«Abbiamo sottoposto delle domande da far rivolgere durante gli interrogatori, ma non abbiamo avuto alcun controllo sul fatto che delle domande di particolare interesse sarebbero state fatte, quando e come. Né ci è stato consentito di parlare con chi effettuava gli interrogatori in modo che potessimo giudicare meglio la credibilità dei detenuti e chiarire delle ambiguità in merito a quanto ci veniva riferito.»

I processi verso la categoria extra-diritto internazionale dei “combattenti nemici” si inseriscono in un quadro allarmante di modifiche costituzionali con procedure forzate. Le “Commissioni militari” al posto delle ordinarie corti marziali colpiscono il principio della separazione dei poteri: il presidente si è arrogato poteri che la Costituzione attribuisce al Congresso. Senza parlare della violazione di tutte le norme internazionali sui diritti delle persone catturate in un conflitto armato.
Il nuovo ordinamento eccezionale ha potuto coprire molte operazioni segrete che non erano nemmeno obbligate al rendiconto del processo. Questi processi – che restituiscono quel tanto di spettacolo alla terra di Perry Mason – sono solo la parte emersa di un quadro di abusi che crea troppi precedenti pericolosi.
Insomma, un pasticcio giuridico e un quadro investigativo inquinato si sono retti per sette anni solo grazie al silenzio connivente dei media più importanti. Ancora persi dietro al fantasma di Osāma (lo strato più vecchio della crosta delle menzogne), questi media non hanno nemmeno provato a scrostare le bugie più recenti. Eppure sarebbe bastato guardare un po’ meglio alla biografia di KSM, a lungo nei Fratelli Musulmani (un’organizzazione profondamente infiltrata dai servizi britannici e statunitensi) e in stretti rapporti con l’ISI pakistano (un altro servizio molto legato alle strategie USA). Suo fratello Zahid Shaikh Mohammed lavorava per la Mercy International, un’importante organizzazione caritativa islamica guidata da Abdul Rasul Sayyaf, uno dei signori della guerra in Afghanistan, descritto dal «Los Angeles Times» come «destinatario preferito di denaro proveniente dai governi saudita e americano».
KSM non fece mancare la sua opera “a latere” durante le operazioni NATO in Bosnia.
Mentre si continua a morire in Afghanistan e in Iraq, il cuore della versione ufficiale sull’11/9 è ancora un confuso buco nero investigativo.

Aggiornamento del 20 ottobre 2008:
Il presente articolo è stato ripreso su «Megachip» [QUI], su «Uruknet» [QUI], su «ZeroFilm» [QUI], e su «AriannaEditrice» [QUI].

2 Commenti

  1. stuarthwyman 18/10/2008 at 12:47

    “Incluso progettare un attentato a un grattacielo inesistente, a Seattle.”

    Ciao è possibile avere un riferimento, un link di questo particolare?

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