La controglobalizzazione affonda l’UE a 27

di Pino Cabras – da «Megachip»

Non sappiamo se l’Europa del “Trattato di Lisbona” sia finita in questi giorni al vertice europeo straordinario di Bruxelles, se era già finita prima, o se dovremo fissare un’altra data in un futuro ravvicinato. Poco importa, sono convenzioni, che si intrecciano con l’imprevedibilità delle costruzioni giuridiche europee e soprattutto con l’imprevedibilità della loro possibile decostruzione. Sappiamo però che tutto l’impianto su cui si era fondato l’allargamento europeo sta precipitando a una velocità spaventosa nel gorgo della più grande depressione economica mai vista.

Dico mai vista, pensando perfino ai ritmi dell’altra Grande Depressione. Nel 1931 la produzione industriale europea calava del 5%. Oggi il calo è tre volte più intenso. Con la differenza che a quel tempo la bolla bancaria e parabancaria non si misurava in multipli del prodotto interno lordo dei singoli paesi, come oggi vediamo per i paesi della Vecchia Europa (non dà conto parlare di quelli della Nuova Europa, sull’orlo della bancarotta ).
La controglobalizzazione galoppa sulle ali degli attuali e dei prossimi fallimenti di banche, da soli in grado di innescare il default di interi stati.

Colpisce l’impotenza dei protagonisti politici dei vari paesi europei. Non c’è neanche il tempo di godersi lo svanimento repentino di certe sfrontatezze dei governanti di Polonia, Repubblica Ceca o Ucraina, che avevano giocato a fare i campioni dell’americanismo e oggi sono con il cappello in mano, a chiedere soccorso dove pure piove a dirotto. Perfino la fine catastrofica di quell’arroganza mi sgomenta, perché è il segno di come ora possano essere annichiliti in un istante tanti punti di riferimento, negativi e positivi.

Le classi dirigenti adesso in campo non sono state selezionate dalla crisi, ma dal suo esatto contrario. Vengono da un sistema che non riusciva più nemmeno a contemplare qualcosa di diverso da una molle espansione indefinita. Com’è che recitava il mantra del Consiglio europeo di Lisbona? Diventare entro il 2010 «l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.»

Riascoltate tutte queste parole una per una, e guardate come ormai invece i governi puntino solo a salvare il salvabile, senza sapere come farlo, con quali priorità, con quali effetti a catena. Nel marasma, si ritorna entro perimetri più domestici, tanto nelle scelte dei governi, quanto negli orientamenti popolari. Gli aiuti nazionali alle banche scontano l’enorme prezzo di lasciare a se stesse le economie estere in cui quelle banche avevano investito, per concentrare la speranza di far ripartire il credito alle imprese, quelle che rimarranno, dentro il proprio paese. La controglobalizzazione, appunto.
A questo punto sarebbe abbastanza azzardato fare qualsiasi previsione su quel che accadrà in questo anno terribile. Nella testa dei governanti risuonano parole d’ordine senza più significato, ancora legate alla fase dell’egemonia neoliberista angloamericana. La sinistra europea è parimenti spiazzata. Qui e lì si cerca di ristudiare in fretta e furia una qualche forma di intervento statale.

Gli USA di Obama cercano di raggiungere un’enorme massa critica d’intervento pubblico in grado di deviare il corso delle cose. Contano sulla residua affidabilità della loro capacità d’indebitarsi senza fallire, coperti dallo status garante della superpotenza. Il gioco reggerà finché i buoni del tesoro USA saranno acquistati. Una scommessa che vinceranno o perderanno quest’anno. E se vincono sarà a scapito di altri soggetti che emetteranno debito.

Altrettanta massa critica non si vede ancora nell’intervento europeo. L’Europa non permetterà il default dell’Est, perché sarebbe davvero una catastrofe. Ma ignora ancora come impedirlo. Gli automatismi e le rigidità eurocratiche sono comunque in rapido declino. Se nascerà un intervento coordinato dal peso autenticamente continentale, certo non passerà per la Commissione ma per il Consiglio europeo. Se fra qualche anno ci sarà ancora l’Euro a far da scudo, certo avverrà per una disponibilità al sacrificio dei paesi meno a rischio default, solo che oggi non la danno a vedere. Sono tanti i “se” che queste classi dirigenti vissute in tempi molli non sanno dipanare nei tempi duri.

Sulla situazione europea ecco un’intervista del 2 marzo 2009 a Giulietto Chiesa sulla Tv russa in lingua inglese Russia Today:

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