𝘼𝙫𝙫𝙚𝙧𝙩𝙚𝙣𝙯𝙖 𝙞𝙣𝙞𝙯𝙞𝙖𝙡𝙚 𝙥𝙚𝙧 𝙞 𝙡𝙚𝙩𝙩𝙤𝙧𝙞 𝙥𝙞𝙪̀ 𝙨𝙤𝙨𝙥𝙚𝙩𝙩𝙤𝙨𝙞
C’è una parte del dibattito pubblico che, appena sente parlare di pace, reagisce sempre allo stesso modo: “Propaganda di Putin”.
Sbagliano due volte.
La prima, perché vivendo spesso la propria vita intellettuale a rimorchio di propagandisti veri, di partiti, apparati, redazioni o uffici stampa, non riescono più a immaginare che qualcuno possa parlare senza padrini, senza ordini, senza copione. Che si possa avere un’idea propria. Che si possa agire per convinzione e non per conto di qualcuno.
La seconda volta sbagliano ancora di più.
Perché se proprio devo assumere una veste da “propagandista”, allora sì: lo dico apertamente.
Lo faccio volentieri, da laico, da persona libera.
Ma per il Papa.
Per Leone XIV, che ieri ha detto sulla pace cose di enorme peso politico, con un linguaggio alto e rigoroso, impossibile da liquidare come ingenuità. Parole così forti che meritano di essere ripetute. Non dunque per obbedienza, ma per pura condivisione e per onestà.
In questo specifico caso oggi accetto il ruolo di umile ripetitore.
Con una sola libertà: usare parole semplici, comuni, comprensibili a tutti.
Una propaganda a fin di bene, se proprio vogliamo chiamarla così.
Chi vi vorrà vedere la voce di Mosca, come al solito, non avrà capito nulla.
È una semplice voce della pace.
Ed è una voce profondamente politica.
______________________
Lᴇᴛᴛᴇʀᴀ ᴀᴘᴇʀᴛᴀ ᴀ ᴄʜɪ ᴄᴏɴғᴏɴᴅᴇ ʟᴀ ᴘᴀᴄᴇ ᴄᴏɴ ᴜɴᴀ ᴄᴏʟᴘᴀ
(𝒍𝒊𝒃𝒆𝒓𝒐 𝒂𝒅𝒂𝒕𝒕𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐 𝒅𝒊 𝒖𝒏 𝒅𝒊𝒔𝒄𝒐𝒓𝒔𝒐 𝒑𝒂𝒑𝒂𝒍𝒆 𝒑𝒂𝒑𝒂𝒍𝒆)
Questa lettera è rivolta a chi oggi ha potere.
A chi governa.
A chi decide.
A chi parla ogni giorno dai giornali, dalle televisioni, dalle istituzioni.
È rivolta a voi che attaccate chi non vuole il riarmo continuo.
A voi che trattate come sospetto chi rifiuta l’idea che la guerra sia una condizione normale e permanente.
A voi che trasformate il dissenso in colpa e la prudenza in tradimento.
Il problema comincia quando la pace viene presentata come una bella parola, buona per i discorsi solenni, ma inadatta alla realtà. Quando la pace viene spinta lontano, messa in un futuro indefinito, irraggiungibile.
In quel momento accade qualcosa di grave: diventa accettabile negarla.
Diventa accettabile rinviarla.
Diventa persino accettabile fare la guerra “per arrivare alla pace”.
Così si rovescia il senso delle parole e delle scelte.
In questo clima mancano le parole giuste.
Manca il coraggio di dire che la pace non è un sogno.
Che non è un lusso.
Che non è una debolezza.
La pace è una realtà concreta, che deve essere vissuta, custodita e coltivata. E quando non lo è, quando viene esclusa dalle scelte politiche reali, allora l’aggressività si diffonde ovunque. Entra nelle case. Entra nei rapporti sociali. Entra nel linguaggio pubblico. Entra nelle decisioni dei governi.
È qui che avviene lo scatto più pericoloso.
Nel rapporto tra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto di non prepararsi abbastanza alla guerra. Di non investire abbastanza in armi. Di non reagire in modo sempre più duro, sempre più rapido, sempre più violento.
Non si parla più solo di difesa.
Si parla di attacco preventivo.
Si parla di risposta automatica.
Si parla come se il conflitto fosse la normalità e la pace un’eccezione sospetta.
Questa non è neutralità.
È una scelta politica precisa.
È una logica di contrapposizione che divide il mondo in campi rigidi, in amici e nemici permanenti. Ed è questa logica – non la pace – a rendere il pianeta sempre più instabile, più drammatico, più imprevedibile.
Non a caso, gli appelli ad aumentare le spese militari vengono presentati come inevitabili. Come se non esistessero alternative. Come se la paura fosse una legge naturale.
“La colpa è degli altri”, si dice.
“Gli altri sono pericolosi”.
Così la paura diventa giustificazione.
Il riarmo diventa virtù.
La polarizzazione diventa metodo di governo.
Chi non si adegua viene isolato.
Etichettato.
Screditato.
A questa deriva io mi oppongo.
Non perché ignori i conflitti, ma perché rifiuto di farli diventare il centro di tutto.
Non perché neghi la violenza del mondo, ma perché rifiuto che sia la violenza a dettare l’agenda politica.
La pace esiste.
Non è un’illusione.
La pace vuole entrare nella nostra vita e nelle nostre scelte collettive.
Ha un potere mite ma reale: aiuta a pensare meglio, allarga l’intelligenza, riduce la semplificazione e l’odio.
La violenza distrugge.
La pace resiste.
E nel tempo lungo della storia, vince.
Al male si può solo gridare “basta”.
Alla pace, invece, si può dire “per sempre”.
Un mondo carico di armi non è un mondo più sicuro.
È solo un mondo più povero di futuro.
Chi parla di pace non chiede indulgenza.
Chiede responsabilità.
—————————————
𝗤𝘂𝗲𝘀𝘁𝗮 𝗹𝗲𝘁𝘁𝗲𝗿𝗮 𝗲̀ 𝗶𝗻𝗱𝗶𝗿𝗶𝘇𝘇𝗮𝘁𝗮 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗹 𝗣𝗿𝗲𝘀𝗶𝗱𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗥𝗲𝗽𝘂𝗯𝗯𝗹𝗶𝗰𝗮, 𝗦𝗲𝗿𝗴𝗶𝗼 𝗠𝗮𝘁𝘁𝗮𝗿𝗲𝗹𝗹𝗮.
Ieri il Capo dello Stato ha difeso il riarmo come scelta necessaria. Nello stesso tempo, a pochi chilometri di distanza, l’altro capo di Stato che vive a Roma, Papa Leone XIV, ha pronunciato parole di segno opposto, limpide e radicali, sulla pace.
È evidente che non si tratta di protocolli né di consultazioni mancate. È proprio una divergenza totale che emerge spontaneamente.
Una forbice enorme che si è aperta sui cieli di Roma: da una parte la normalizzazione della guerra come orizzonte politico, dall’altra l’affermazione della pace come realtà da abitare e non da rinviare.
Questa distanza oggi parla da sola.