Lo Spirito di Messina

di Pino Cabras – da Megachip.

Da Messina a Messina, la
politica è stata per mesi in un ottovolante, con ubriacature d’alta
quota, cadute repentine, giudizi definitivi smentiti da fatti
contrari nel giro di breve tempo. Fu proprio Messina, lo scorso
ottobre, a far capire che la politica italiana non sarebbe più stata
la stessa. Beppe Grillo aveva appena attraversato a nuoto lo
Stretto, e da lì iniziava una campagna elettorale spettacolare che
lo portava al grande exploit siciliano, fino a fare del Movimento
Cinque Stelle il punto di coagulo dell’opposizione italiana.
Oggi a Messina diventa trionfalmente sindaco Renato Accorinti,
l’uomo della battaglia No Ponte, un vero alieno contro una vera
piovra di potentati locali, a capo di un movimento che rompe tutti
gli schemi senza stare affatto nemmeno nello schema del M5S, che
d’altro canto vince clamorosamente a Ragusa con Federico Piccitto.

Nessuno può più illudersi di tenere
in cassaforte i voti di appartenenza. Nessun leader può più
coltivare l’illusione di “dettare la linea”. I ballottaggi
siciliani arrivano dopo i boom e i flop dei partiti e delle liste,
con votanti che si muovono con la forza incontenibile dei fiumi in
piena. Sia il bacino sempre più esteso di quelli che non votano, sia
la corrente sempre più instabile di quelli che ancora vanno alle
urne, hanno una cosa in comune: non possono più essere
rappresentati
da quel che c’era prima, e ancora non stanno fermi
in quel che c’è ora.

I meccanismi elettorali e le
consuetudini con il potere hanno consentito alle classi dirigenti
italiane di resistere, fino ad arroccarsi con momentanea
efficacia: il Tigitre è diventato il Tigiquattro meno uno, la
presidenza della Repubblica è stata imbalsamata, Palazzo Chigi è
presidiato dai maggiordomi, c’è sempre qualcuno che ha un microfono
per Violante, e fino ad oggi anche il Caimandrillo ha fatto finta di
poter rivincere. Una Restaurazione.

Per contro, il M5S è stato ben al di
sotto della Rivoluzione promessa. I rappresentanti in
Parlamento sono stati scelti con meccanismi che non potevano che produrre una rappresentanza troppo debole, rispetto alle esigenze tattiche e alla duttilità delle
battaglie parlamentari necessarie.

Eppure nulla è immobilizzato per
davvero. La crisi eroderà giorno dopo giorno i vecchi strumenti del
potere e molte leve del consenso residuo. Tutti dovranno giocare la
partita del consenso futuro, mai scontato.

La mia sarà forse un’impressione, ma
l’abisso dei non rappresentati è una voragine sempre più vasta.
Troppo più estesa per chi spera ancora di circoscriverla o fregarla
arroccandosi. Sino a poco tempo fa la “voragine” poteva ambire a
organizzarsi per contare almeno come una minoranza influente,
come un’opposizione che esercita una pressione su un sistema politico
ancora forte, pur sempre rappresentativo di vasti interessi.

Oggi quegli interessi possono
sgretolarsi (perfino con la classica e temibile “rovina comune
delle classi in lotta”), creando un vuoto che qualcuno riempirà.

Non sembra più il tempo adatto per
vivacchiare con partitini che si accontentano di un piccolo potere di
negoziazione e di interdizione verso gli altri. Bisogna pensare
già oggi al governo che sarà espresso da un popolo capace di
sentire il peso della propria sovranità e farsi maggioranza
cosciente, inItalia e in Europa.
Da Messina viene un insegnamento: occorre
rompere gli schemi.

Sarebbe perfino una rivincita sul
cosiddetto “spirito di Messina” del 1955, quello della Conferenza
da cui si fece strada l’Europa che conosciamo, ormai vicina al
capolinea.

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