Oslo: preveggenti wargames e crisi imperiali

di Pino Cabras – da Megachip.
CON IMPORTANTE AGGIORNAMENTO E RETTIFICA DEL 6 AGOSTO 2011 IN CODA ALL’ARTICOLO

Perfino a Oslo, ancora una volta, un evento terroristico di grande portata si è dispiegato a ridosso di un’esercitazione di sicurezza che aveva ad oggetto proprio un grande attentato: la polizia di Oslo appena 48 ore prima delle stragi stava conducendo un massiccio wargame ubicato nei pressi della Operahuset, il Teatro dell’Opera della capitale norvegese. Le stragi di Oslo si mostrano subito con uno scenario pieno di piste contrastanti. A caldo, così come è accaduto per lo stragismo italiano e per le stragi del decennio post 11 settembre, si creano e si cancellano rivendicazioni e ipotesi che si rincorrono: dal presunto comunicato islamista fino all’ipotesi investigativa sulla pista interna. Rimane questo fatto – l’esercitazione – che in sé non basta ancora a dimostrare nulla, ma che sarebbe sbagliato ignorare, dati i precedenti.
Come riferisce il quotidiano norvegese Aftenposten, nuclei della «polizia antiterrorismo hanno fatto esplodere delle cariche esplosive in un’esercitazione al centro di Oslo, a duecento metri dall’Opera, ma si sono dimenticati di avvisare il pubblico». L’esercitazione, svoltasi mercoledì 20 luglio, ruotava intorno all’azione di unità anti-terrorismo che attaccavano un edificio in disuso ai margini del molo Bjørvika con bombe e armi da fuoco.
«Gli uomini si sono calati dal tetto e sono entrati dalla finestra appena esplosa, intanto che sparavano». L’efficacia scenica era tale che – riferisce Aftenposten – si udivano “scoppi violenti”, sotto lo sguardo attonito degli spettatori del vicino Teatro dell’Opera.
Il video dell’esercitazione dà un’idea del grado di realismo della simulazione.
politietaksion
In casi precedenti, riferibili ad analoghe esercitazioni, abbiamo visto numerosissimi punti di contatto con gli eventi in corso, fino al punto di sovrapporsi con essi. È possibile ripercorrere molti di questi casi, che mostrano sbalorditive coincidenze con la tortuosa scena del delitto, regolarmente accompagnata dai giochi di ruolo messi in campo da interi apparati coperti legalmente.
Durante gli attentati di Londra del 7 luglio 2005, ad esempio, un’agenzia di sicurezza che si curava della metropolitana stava conducendo un’esercitazione con eventi terroristici simulati che dovevano svolgersi nei medesimi orari ed esattamente negli stessi luoghi in cui accaddero per davvero. Una sfida impossibile alla statistica, su cui né Scotland Yard né il giornalismo britannico – istituzioni regolarmente sopravvalutate – hanno provato a fare obiezioni di sorta.
Dobbiamo intanto chiederci a chi giovi il massacro nella tranquilla città scandinava. La Norvegia, sebbene abbia un peso demografico molto modesto (poco più degli abitanti del Piemonte distribuiti su un territorio più vasto dell’Italia), e sebbene appaia a uno sguardo superficiale come un Paese periferico, ha in realtà una fortissima proiezione geopolitica, presentandosi come un paese chiave della NATO in vista dell’imminente corsa all’Artico, un’area che si libera sempre più dei ghiacci e “scopre” immense risorse su cui stanno puntando le grandi potenze.
È inoltre un paese petrolifero di prima grandezza, che ha nei suoi forzieri sovrani un cumulo di risorse gestite finora con oculatezza e con un’attenzione costante alla coesione sociale legata al modello scandinavo, qualcosa che non piace agli avvoltoi della finanza internazionale. È infine un comitato di emanazione parlamentare norvegese ad assegnare il Nobel per la Pace: il fatto riflette una secolare vocazione delle classi dirigenti della Norvegia a partecipare attivamente nello scenario internazionale, come ad esempio con gli “accordi di Oslo” fra israeliani e palestinesi negli anni novanta del XX secolo, e ultimamente con qualche ripensamento rispetto all’impegno militare in Libia nonché con il possibile riconoscimento dell’indipendenza palestinese.
Mettendoci nei panni dei politici norvegesi, il messaggio degli attentati che ci arriva è chiaro: in quest’epoca di caos finanziario, di intensificazione delle guerre, di lotta più aspra per le risorse energetiche e minerali, non esistono porti franchi per la nostra tranquillità, né per le nostre casseforti piene, né per i nostri pozzi petroliferi non ancora esausti come quelli britannici, e saremo anche noi chiamati a schierarci dolorosamente, perché siamo lungo le linee di frattura dei poteri imperiali in lotta per sopravvivere.  
Non è stata fatta una strage in un giorno di punta, ma in un momento in cui i palazzi erano semivuoti. Furia omicida, sì, ma a suo modo molto contenuta, come se si dovesse economizzare e ottimizzare il messaggio, sufficientemente spietato, ma militarmente contenuto. Non c’è più nemmeno l’icona di Bin Laden a fare da schermo. Si potrà capire meglio il messaggio.

AGGIORNAMENTO DEL 6 AGOSTO 2011

Una rettifica sui fatti di Oslo


Quando ho commentato a caldo la terribile strage di Oslo di venerdì 22 luglio ho commesso un errore di cui mi sono accorto in ritardo, e che cambia una parte molto importante di quella valutazione. Descrivo il mio errore. Nell’articolo, scritto la sera stessa degli attentati, ho fatto riferimento a un link che portava a un articolo del quotidiano norvegese Aftenposten: (http://mobil.aftenposten.no/article.htm?articleId=3569108). Come avevo fatto altre migliaia di volte per altri articoli, ho letto la data di pubblicazione, che in quel caso riportava il 22 luglio 2011. Si trattava di una breve cronaca accompagnata da un video in cui si descriveva un’esercitazione delle forze antiterrorismo in pieno centro di Oslo avvenuta «mercoledì», con tanto di esplosioni e mobilitazioni di uomini in armi.
La percepita vicinanza delle esercitazioni rispetto alla strage mi sembrava un fatto da segnalare con adeguata evidenza, perché in occasione dell’11 settembre 2001 americano e del 7 luglio 2005 londinese c’erano state esercitazioni degli apparati di sicurezza che avevano interferito con la linea degli eventi. Sugli attentati di Londra menzionavo il fatto che «un’agenzia di sicurezza che si curava della metropolitana stava conducendo un’esercitazione con eventi terroristici simulati che dovevano svolgersi nei medesimi orari ed esattamente negli stessi luoghi in cui accaddero per davvero. Una sfida impossibile alla statistica, su cui né Scotland Yard né il giornalismo britannico – istituzioni regolarmente sopravvalutate – hanno provato a fare obiezioni di sorta.» (http://www.youtube.com/watch?v=JKvkhe3rqtc) La data che appariva sul link di Aftenposten, tuttavia, non era quella della prima pubblicazione reale di quell’articolo. Ogni volta che quella pagina viene ricaricata sul pc – come ho potuto apprendere solo in seguito – accanto alla dicitura “Publisert”, ossia “Pubblicato il”, appare la data della pagina ricaricata, e non quella della prima vera pubblicazione. Agli occhi dell’utente è strano, ma è così, e potete verificarlo voi stessi cliccando sul link in questione. Ho perciò scritto a Hans O. Torgersen, il cronista di Aftenposten che aveva raccontato e filmato la simulazione delle forze speciali, per chiedergli quale fosse la vera data. Ieri Torgensen mi ha gentilmente attestato che la data dell’articolo è in realtà il 18 marzo 2010. Cioè oltre un anno prima. Lo si evince da questo altro link che porta allo stesso articolo, ma stavolta senza la data “cangiante”: http://www.aftenposten.no/nyheter/oslo/article3569108.ece.
Mi scuso con i lettori per questo incidente di percorso. Se non altro la lettura dei fatti di Oslo – sebbene presenti molti elementi ancora da scoprire, in particolare le influenze e gli appoggi che hanno preparato il terreno allo stragista Anders Behring Breivik – può al momento escludere la logistica di un’esercitazione che facesse da schermo, a differenza degli scenari dell’11/9, del 7/7 e di Mumbai.
I fatti sono spesso interpretati con schemi, esperienze, pregiudizi. A volte i canovacci semplificano e accelerano la raccolta degli elementi, altre volte portano a sbagliare e a dover correggere il tiro. Per mia fortuna non ho fatto almeno gli errori dei sedicenti esperti di terrorismo (come Guido Olimpio del «Corriere» che pontificava sulla «pista uigura», o come Fiamma Nirenstein del «Giornale» che distillava in un solo editoriale secoli di odio anti islamico sotto il titolo “Sono sempre loro. Ci attaccano”). Sotto l’ombrello ideologico degli orfani di Oriana Fallaci lo spiazzamento è stato davvero devastante.
Va detto che il giornalismo è nato su una carta che il giorno dopo serviva ad avvolgere il pesce; gli errori un tempo erano in qualche modo più tollerati. Oggi il web è una grande entità incancellabile, che implica un trattamento più lungo degli inevitabili sbagli di chi si espone intellettualmente. Mentre scrivo, sto verificando che un sito di anonimi cialtroni attacca tra gli altri anche Megachip proprio per la questione dell’articolo di Aftenposten, fino ad aggiungere questa perla, alla fine di un crescendo paranoico: «È un complottismo sciacallo e vigliacco: sciacallo perché sfrutta la disperazione, la tragedia e la paura; vigliacco perché non ha il coraggio di ammettere che gli autori di certe nefandezze sono spesso espressione di quelle stesse ideologie che sono alla base del complottismo. Anders Behring Breivik è della stessa pasta di tanti complottisti, e in particolare quelli di ideologia neonazista, antisemita, antiamericana.»
Eh no, carini. Breivik è della stessa pasta vostra, pasta Fallaci. Guardate cosa scrive il vostro beneamato sparacchiatore nel suo mattone di 1500 pagine: «Quando qualcuno mi chiede se sono un nazionalsocialista, mi sento profondamente offeso. Se c’è una figura storica che odio è Adolf Hitler». E meno male, aggiungiamo.
E dichiara: «Coloro che deplorano il diritto di Israele ad esistere sono o antisemiti, o sono dementi. Chi ha un po’ di senno dovrebbe sostenere il sionismo (nazionalismo israeliano) che è il diritto di autodifesa di Israele contro lo Jihad». Non vi riconoscete, pseudoamericanisti da strapazzo, quando dice: «Dunque combattiamo insieme ad Israele, a fianco dei nostri fratelli sionisti contro tutti gli anti-sionisti, contro tutti i marxisti-multiculturalisti»? Il suo è un manifesto adatto a caricature vigliacche di un Occidente altrimenti più ricco e complesso, un delirio da atei devoti ultraoccidentali ossessionati da Eurabia. Proprio come voi. È da sistemare nel vostro album di famiglia, fra le perle.

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