Disarmare la finanza per rifondare l’Europa



Sintesi della video-intervista di Giulietto Chiesa al Prof. Bruno Amoroso, membro del Comitato Scientifico di Alternativa.

Una
parte della sinistra, quella divenuta suo malgrado extraparlamentare,
ha sposato la tesi dell’uscita dall’euro punto e basta. Lei che cosa ne
pensa, sia in termini monetaristici, sia in termini di concreta
strategia politica (che sono due cose diverse)? L’Unione Europea ha un
destino, oppure è destinata a crollare?

Le proposte critiche si
sono orientate in due direzioni principali. La prima è quella degli
economisti keynesiani che propongono il superamento della parentesi
dell’Euro per i 17 paesi partecipanti e che si sono distaccati dallo SME
dei 27 paesi. Si tratta di una proposta di ritorno al sistema del
serpente monetario, con le sovranità monetarie nazionali, e con fasce di
variazione concordate nei cambi. Inoltre si propone un Fondo di
solidarietà al quale dovrebbero concorrere sia i paesi con un eccesso di
surplus sia quelli con un eccesso di deficit nella bilancia dei
pagamenti. Il Fondo dovrebbe aiutare in modo mirato i paesi in
difficoltà. È una proposta lineare e che si rifà sia al modello
keynesiano, sia alle esperienze di cooperazione monetaria del sistema
europeo precedenti all’Euro. La debolezza della proposta è che non tiene
conto che gli Stati nazionali non dispongono più di governi autonomi e
di forze politiche capaci di gestire queste politiche. La
Globalizzazione ha modificato tutto questo in forma irreversibile.
La seconda proposta, nella
quale io colloco la mia, è quella di tentare di risolvere i problemi
prodotti dall’Euro dentro questo sistema. I problemi nascono da una
divisione tra i paesi dell`area tedesca e quelli dell`Europa del sud.
Per questo è ipotizzabile una divisione dell’Euro in due zone, con
rapporti di cambio concordati e meccanismi di solidarietà del tipo di
quelli descritti sopra. Le ragioni della mia preferenza per questa
proposta sono due. Prima, le debolezze dei governi nazionali
singolarmente presi sono evidenti, ormai ridotti a ruoli prefettizi
rispetto alla BCE. Un semplice ritorno ai sistemi statali nazionali
porterebbe probabilmente a una dissoluzione dell’intero progetto
europeo. La divisione proposta della zona euro costringerebbe i governi e
i movimenti politici dell`Europa del sud a riprendere una propria
iniziativa più aderente alla realtà dei propri sistemi produttivi e
sociali e consentirebbe uno spazio d’intervento ai movimenti sociali,
politici e sindacali di questi paesi. Seconda, si riaprirebbe un
processo di rifondazione dell’assetto istituzionale europeo, che ponga
una alternativa al modello istituzionale centralizzato di Bruxelles in
direzione di una struttura federale europea costruita però non su
singoli stati e paesi ma su aree mesoregionali omogenee. Questo è quanto
di fatto già avviene nell’area dei paesi baltici e dell’Europa
centrale, mentre è assente per i paesi dell’Europa del Sud (Europa
mediterranea). È evidente che questo richiederebbe una ricontrattazione
di tutti i passaggi strategici della fase post guerra fredda
(Maastricht, Lisbona, ecc.) totalmente inadeguati a questi nuovi
indirizzi.

Esiste,
secondo lei, una competizione tra dollaro ed euro? O, per dirla in
altri termini, Wall Street-City of London e Francoforte agiscono in modo
solidale, oppure non è così?

A mio avviso i sistemi
finanziari hanno costruito legami che impediscono ogni forma di
competizione interna e hanno anche il pieno controllo dei sistemi
monetari (dollaro, sterlina e euro) come dimostra la loro presenza nei
posti chiave del governo dell’economia e della moneta sia negli Stati
Uniti sia in Europa. La possibilità di rompere questo monopolio risiede
anzitutto nel formarsi di volontà politiche diverse che sono la premessa
indispensabile perché l’Euro possa eventualmente svolgere un ruolo
autonomo rispetto a obiettivi sia interni sia internazionali. Questo non
è raggiungibile né con le attuali istituzioni monetarie europee,
controllate dalla Goldman Sachs (Mario Draghi), né con iniziative di
sovranità nazionali che, per la loro debolezza intrinseca, potrebbero
forse aiutare le condizioni socioeconomiche interne, ma rimanendo
dipendenti per il loro ruolo internazionale. Questo è quanto oggi
avviene, ad esempio, con la corona dei paesi scandinavi. Diverso sarebbe
il caso del formarsi di aree monetarie forti dentro il sistema dell’UE
(come è oggi il caso della sterlina inglese) che concatenando moneta e
sistemi produttivi potrebbero tornare a svolgere un ruolo di
trascinamento dell’Euro in nuove direzioni. La proposta francese
dell’Unione per il Mediterraneo sembrava potesse rappresentare un passo
importante in questa direzione, ma poi è stata invece strumentalizzata
da Sarkozy per una ripresa delle politiche coloniali europee.

Quali
sono le regole della finanza che occorre cambiare per evitare un
collasso come quello del 1929? E in Italia, Fiscal compact, pareggio di
bilancio e la linea Monti cosa ci daranno, oltre alla recessione?

Il nodo da risolvere è
quello di togliere tutti quegli spazi di autonomia che i sistemi
finanziari si sono conquistati rispetto ai sistemi politici e economici.
La finanza va disarmata chiudendo le istituzioni mediante le quali può
operare in modo autonomo (borse, società di rating, grandi società
finanziarie e banche nazionali e transnazionali). La finanza va drenata
del proprio potere togliendo alla moneta la funzione di “strumento di
accumulazione di ricchezza”, riportandola a quella di “misura di conto” e
“strumento di scambio”. La moneta deve essere emessa dagli Stati con
funzioni precise di sostegno dell`economia e dei suoi equilibri interni.
L’accumulo di moneta per operazioni finanziarie crea ostacolo all`uso
della moneta per gli scambi commerciali e gli investimenti; è di fatto
un’appropriazione indebita della moneta emessa dallo Stato che i privati
fanno sottraendo così lo strumento necessario per investimenti e per il
consumo. Il meccanismo d’intervento necessario è semplice: tassare in
forma fortemente progressiva tutte le forme di risparmio e di accumulo
finanziario che superino i limiti del “risparmio famigliare”. La moneta
va rimessa in circolazione per investimenti e consumo limitando così
anche il bisogno di espandere le emissioni con effetti inflazionistici.

La
Cina sta rallentando, e non è una sorpresa. Quanti anni di crescita lei
concede alla Cina? E sul versante dei delicatissimi equilibri
geopolitici, intravede una grande guerra all’orizzonte?

La Cina dimostra una
grande saggezza nello gestire i processi di crescita della propria
economia nelle fasi che tutti abbiamo conosciuto, e cioè di una crescita
che si finanzia sull`utilizzo del basso costo della manodopera
abbondante e sulle esportazioni per avere accesso alle valute necessarie
per i rifornimenti energetici e delle tecnologie. Dopo aver attuato in
circa 15 anni una trasformazione industriale e civile (urbanizzazione
ecc.) che ha richiesto in Occidente 150 anni, la Cina sta affrontando i
problemi della coesione territoriale e sociale spostando l’asse della
crescita dall`esportazione al consumo interno. La Cina sa anche molto
bene che la sua collocazione dentro un orizzonte temporale di due
decenni alla testa dell’economia mondiale costituisce l’incubo dei paesi
occidentali incapaci finora financo di pensare ad una propria
ricollocazione dentro un sistema mondiale che li veda nel ruolo di
partner di uno sviluppo la cui centralità risiede altrove. La
Globalizzazione è il piano di apartheid pensato dall`Occidente per
controllare i mercati mondiali e impedire un sistema policentrico che ne
possa minacciare il ruolo di potere. Le guerre degli ultimi trenta anni
seguono un filo rosso che porta allo smantellamento di tutti i
possibili poli di potere regionale (Iugoslavia, Iraq, Mondo arabo,
Afghanistan, Iran, ecc.) autonomi dall’Occidente per l’accerchiamento
della Cina. Due soggetti potrebbero ancora svolgere un ruolo diverso per
contribuire a creare un sistema mondiale di cooperazione e co-sviluppo
alternativo a quello del saccheggio e della guerra. Questi sono la
Russia e l’Unione Europea, se all’interno di quest’ultima sorgessero
forti aree mesoregionali (l’Europa Mediterranea) capaci di condizionare
gli sviluppi europei. Se questo non avverrà assisteremo presto a una
nuova situazione di “guerra fredda” basata su un nuovo equilibrio del
terrore rappresentato oltre che dalle armi atomiche da nuove tecnologie
di annientamento anche più terrificanti.

Infine, cosa pensa della decrescita?
Il problema della
decrescita ha senso rispetto al tema dei limiti delle risorse e di una
autolimitazione delle forme di consumo irragionevoli. Ma questo nella
consapevolezza che il mondo non è fatto di gente ricca e obesa che
sperpera risorse, ma di miliardi di persone che ancora faticano per
trovare forme di sopravvivenza materiale e mentale. Se la decrescita è
una proposta che riguarda noi occidentali, delle classi medio alte, e i
nostri sistemi produttivi spesso costruiti sullo spreco e sul superfluo,
ben venga. Si tratta di una proposta di qualità ed etica che non può
che essere condivisa.  Ma se il mantenimento degli attuali squilibri
distributivi e delle forme di vita ad alto consumo energetico significa
imporre la decrescita alle famiglie e ai lavoratori, come si sta facendo
oggi, questa indicazione rischia di svolgere un ruolo di legittimazione
alla conservazione di quella che Keynes definiva il vizio maggiore
delle nostre società, e cioè l’iniqua distribuzione dei redditi e della
ricchezza. In conclusione penso che la diffusione di questo concetto,
anche tra forze di sinistra e movimenti sociali, rischia di diventare un
mezzo di distrazione di massa rispetto a quelli che sono i problemi e
le cause del nostro malsviluppo.

Il link su Megachip: QUI.

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