Dopo il Consiglio Europeo

Sugli esiti dell’ultimo Consiglio europeo non voglio discutere usando gli schemini del tifo che parlano di vittoria epocale o di caporetto a seconda delle maglie indossate. State calmi e toglietevi l’elmetto.
La crisi sistemica in atto ha proporzioni globali molto più vaste di questo campo di gioco segnato da effimere battaglie di tweet: durerà anni, scuoterà violentissimamente le società, le economie e le formazioni sociali aggregate, inclusi partiti e movimenti. Quindi non è la guerra provinciale fra due squadre in cui ci vorrebbe costringere la solita dialettica maggioranza-opposizione. È invece una guerra d’interessi ibrida dove intervengono molti più soggetti interni e internazionali, con incrostazioni istituzionali che non si superano con uno strappo, con interessi intrecciati fra Stati che su certi dossier ci sono amici mentre su altri ci sono rivali irriducibili e determinati.
Gli stessi schieramenti dell’attuale configurazione parlamentare italiana hanno idee diverse al loro interno sui mezzi per affrontare la crisi. Il M5S non vuole il MES perché non può essere privo di condizionalità, il PD lo vagheggia, i renziani lo vogliono tantissimo. Dalle parti dell’opposizione, Forza Italia vuole nettamente il MES, i suoi alleati della Lega dichiarano di non volerlo ma puntano a Draghi, e dalle parti di Fratelli d’Italia si dichiara contrarietà stando comunque dentro il proprio contradditorio quadro di alleanze.
Ecco, i tweet troppo perentori su squillanti trionfi e definitive sconfitte mi sembrano entrambi stonati, come tentativi di segnare con punti di colore (il proprio sgargiante colore) un grande paesaggio grigio, nebbioso, ancora tutto da attraversare, con una sua prosa monocorde che spegne i pigmenti delle poesiole bellicose.
Rispetto all’impostazione iniziale del ministro Gualtieri, mi pare che il dibattito politico abbia fortunatamente contribuito a rigettare la tentazione di usare il trappolone MES. Anche se Marattin e Berlusconi dovessero essere inconsolabili.
Quindi, dopo aver abbassato i volumi della propaganda, dobbiamo vedere la verità effettuale, che qualcosa ci dice su questo Consiglio europeo.
Non è affatto vero, ad esempio, che sia andata come dice il leghista Bagnai, cioè che la Germania avrebbe dettato il testo conclusivo secondo una sua volontà pianificata da tempo.
Il Fondo di Ricostruzione è un compromesso ottenuto dopo una trattativa non scontata, partita quando non c’era alcuna ipotesi di fondo comune europeo. Certo, Giuseppe Conte aveva rilanciato la ricorrente proposta degli eurobond con una determinazione che nessun governante aveva mai osato portare a quel livello, e sapeva che il no germanico sarebbe stato altrettanto determinato, ma poi è arrivato lo schema di Fondo in vista del prossimo 6 maggio. E Conte è già in pista. Ogni tanto qualcuno si dimentica che questo tenace avvocato è un mediatore di razza, abituato a considerare certe trattative come quelle scacchiere in cui la partita procede sacrificando pezzi e conquistando caselle.
Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha altrettanto tenacemente insistito nelle ultime settimane sull’idea di giungere a un Fondo che, nella situazione data, fosse il massimo risultato ottenibile.
I miliardi ballano ancora (motivo di più per spingerci a un giudizio estremamente prudente), ma se a spanne l’Italia prendesse 200 miliardi da questo fondo, li potrebbe spendere da subito (purché si perfezioni uno strumento ponte che non attenda i tempi del bilancio) e ci pagherebbe circa 3 miliardi l’anno per un tempo indefinito, aggiungendo ai 3 miliardi una tassa europea, che sarà presumibilmente una carbon tax o qualcosa del genere. Grosso modo passerebbero 40 anni per doverci rimettere. Cioè un tempo davvero lungo.
Consideriamo anche che per i prossimi anni ravvicinati avremmo una Commissione meno ostile di quelle degli anni passati. Del dopo non sappiamo, ma intanto saremo in piedi per non farci prendere a sberle né farci comprare, se nel frattempo rafforziamo le nostre difese economiche.
Ciò detto, resto più in generale dell’idea che l’unico strumento davvero risolutivo sia l’intervento della BCE che monetizza il debito, come avviene ovunque la banca centrale non abbia i ceppi imposti all’istituto di Francoforte. E perciò moltissime decisioni strategiche nei prossimi mesi andranno indirizzate affinché la banca centrale faccia la banca centrale. Altrimenti vanno trovate altre vie per avere i mezzi finanziari necessari.
Nel frattempo insisto, come fanno sempre più colleghi, sulla necessità di avere rapidamente un piano sulla liquidità basato su strumenti innovativi, tra cui i Certificati di Compensazione Fiscale e altre misure (https://www.facebook.com/215061719041594/posts/640237689857326/). È un modo per metterci in sicurezza anche con un netto miglioramento delle nostre forze interne. La Repubblica italiana ha infatti fondamentali economici su cui può contare, perfino nel contesto della grande crisi che iniziamo ad affrontare ora.

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