Il Casaleggium non funziona

di Pino Cabrasda Megachip.
CON AGGIORNAMENTO.

Non enfatizziamo più di tanto i difetti della seconda prova elettorale nazionale del Casaleggium,
il dispositivo di voto online con il quale alcune migliaia di militanti
registrati del MoVimento 5 Stelle distribuiscono i loro voti sulle
candidature. Prima furono le “Parlamentarie”, oggi le “Quirinarie”.
Stavolta le votazioni sono state annullate e ripetute dopo la denuncia
di intrusioni in grado di alterare il voto. In sé, lo ripetiamo,
l’episodio non va enfatizzato, perché – nonostante la retorica
martellante del marketing di Grillo e nonostante le raffiche esacerbate
degli avversari – rimane un avvenimento politico di modesta importanza,
legato a un campione limitato di attivisti che sperimenta i primi
rudimenti di un sistema carente. Più importante è invece trarre una
lezione di fondo: il voto elettronico, ovunque sia stato applicato in sede di decisione politica di massa, è stato sin qui una storia di insuccessi, tanto più evidenti quanto più alte erano le speranze democratiche attribuite ai voti espressi con un clic.
Negli
USA, alla già complicata varietà di sistemi elettorali farraginosi, da
un quindicennio in qua si sono aggiunti nelle cabine elettorali vari
sistemi di voto elettronico che seminano ogni volta dubbi e polemiche
sia nelle primarie sia nelle votazioni generali, al punto da inquinare
profondamente la fiducia nel sistema. Il Casaleggium – essendo praticato
in un contesto ancora meno controllabile e più vulnerabile come la Rete
– per ora riesce a dimostrare poche cose: dà prova di riuscire a
coinvolgere ancora poca gente e di essere troppo esposto ad attacchi per
poter assicurare fiducia nel sistema e nei risultati.
Le forme di scrutinio tradizionale non sono esenti da brogli, si obietterà. Vero. Ma non c’è ancora un paradigma
basato sul voto elettronico in grado di sostituirsi ai vecchi sistemi
con più vantaggi. Senza considerare che metà della popolazione italiana
non sa nemmeno come si accende un computer, con tanti saluti all’«ognuno
vale uno».
Anche in rete non sappiamo che farcene di ideologismi e falsa coscienza. Perciò leggiamo sul Fatto Quotidiano del 13 aprile un’intervista a un vero pragmatico della rete, Umberto Rapetto,
da sempre in trincea nella lotta alle frodi telematiche. Rapetto
ammonisce: «L’immaterialità del web si presta agli interventi più
disparati. Internet è l’anarchia assoluta. Tutti quelli che hanno
cercato di imbrigliarlo con delle regole hanno sbagliato: dai governi
agli ideologi della rete. Volerla usare come strumento di governo e
controllo è una follia». E se non fosse ancora abbastanza chiaro,
aggiunge: «Non si può credere all’infallibilità del web. È un sistema
che fa errori, tant’è che, come nella vecchia politica, bisogna rifare
tutto.»
Anche Marco Schiaffino, un avvocato che nuota come un pesce nella corrente del diritto in rete, porta un argomento convincente contro il Casaleggium: «I furti di dati sono all’ordine del giorno
e l’idea di creare un sistema di protezione a prova di bomba è pura
utopia. La cronaca è piena di esempi: furti di dati di carte di credito,
account Twitter, Facebook e PayPal eseguiti violando direttamente i
database centrali in cui erano conservati. E si parla di aziende che
spendono una fortuna per proteggere i loro dati. Figuriamoci che livello
di sicurezza può garantire il sistema informatico di un movimento
semi-spontaneo basato sul volontariato degli attivisti.»
E
poi non è solo questione di sicurezza, ma di forma della
partecipazione. Col passare degli anni diventa sempre più prezioso
scoprire il pensiero di chi aveva visto lontano. C’è una famosissima
intervista di trent’anni fa a Enrico Berlinguer (“Orwell, il computer, il futuro della democrazia”, l’Unità, 1° dicembre 1983), nella quale Berlinguer dice:
«La democrazia elettronica
limitata ad alcuni aspetti della vita associata dell’uomo può anche
essere presa in considerazione. Ma non si può accettare che sostituisca
tutte le forme della vita democratica. Anzi credo che bisogna
preoccuparsi di essere pronti ad affrontare questo pericolo anche sul
terreno legislativo. Ci vogliono limiti precisi all’uso dei computer
come alternativa alle assemblee elettive. Tra l’altro non credo che si
potrà mai capire cosa pensa davvero la gente se l’unica forma di
espressione democratica diventa quella di spingere un bottone. Ad ogni
modo lo ripeto: io credo che nessuno mai riuscirà a reprimere la
naturale tendenza dell’uomo a discutere, a riunirsi, ad associarsi. Ogni
epoca, certo, ha e avrà i suoi movimenti e le sue associazioni. Vedi
per esempio, nella nostra i movimenti pacifisti, i movimenti ecologici,
quelli che, in un modo o nell’altro, contrastano l’omologazione dei
gusti e il conformismo: chi avrebbe saputo immaginarli quaranta o anche
venti anni fa? Naturalmente compito dei partiti dovrà essere quello di
adeguarsi ai tempi e alle epoche. È qui che si misura la loro tenuta:
sulla loro capacità di rinnovarsi.»
E in effetti l’incapacità di rinnovarsi dei partiti
spiega molto di quanto accade oggi, trent’anni dopo.  Berlinguer
naturalmente parlava a partire da quel che vedeva, i vecchi partiti.
L’intervistatore gli chiese: «Quindi tu non credi che anche i partiti
storici come quelli della vecchia Europa possano diventare solo dei
partiti-immagine?». La risposta è attualissima:
«Possono,
certo che possono. Ma intanto bisogna attrezzarsi per saper essere
anche partiti-immagine e partiti d’opinione. Il rischio è quello di
diventare solo questo. Perché sarebbe un impoverimento non solo della
vita politica, ma della vita dell’uomo in generale».
Può
sembrare paradossale, ma ora il monito berlingueriano vale anche per il
M5S: «È qui che si misura la loro tenuta: sulla loro capacità di
rinnovarsi.» Nel cambiare profondamente una cosa già sciupata. Il Casaleggium è già obsoleto.

AGGIORNAMENTO delle ore 21,45, 13 aprile 2013:
Al di là delle critiche all’affidabilità del sistema di votazione online adottato dal M5S, la rosa dei dieci nomi
che emerge da questo meccanismo taglia in radice uno degli argomenti
più sbagliati usati contro i Cinquestelle: quello di essere un movimento
fascistoide. Lo ha usato molto spesso, prima e dopo il 28 febbraio, una
parte della sinistra spiazzata da questo movimento. L’assurdità di
vedere il fascismo nella forza politica dei Cinquestelle è peraltro
confermata dalla mozione per il ritiro dei soldati dall’Afghanistan presentata dai parlamentari grillini: una delle tante cose che la sinistra italiana non ha fatto.
Risalta
semmai una contraddizione con due dei dieci nomi emersi, quelli di Emma
Bonino e Romano Prodi, due calibri da club Bilderberg che hanno
pienamente appoggiato l’intervento militare in Afghanistan. Rimangono
otto nomi notevoli, otto nomi che aprono un piccolo spiraglio per il
futuro e lasciano un rimpianto per il passato: se fossero stati proposti
con forza molto prima, avrebbero messo all’angolo per tempo tutti gli
architetti di altri accordi sottobanco.
p.c.

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