Nord Corea, la guerra atomica può attendere

di Pino Cabrasda Megachip.

Sulla crisi in Corea, un consiglio a chi ci legge (una piccola porzione fra i miliardi di utenti del sistema mediatico): non c’è da preoccuparsi troppo, per ora. Per molti nel mondo è già così, come ha rilevato il quotidiano britannico The Guardian,
riscontrando che quasi nessuno prende sul serio i bellicosi comunicati
dei comandi nordcoreani, quando proclamano di poter attaccare
atomicamente il suolo nordamericano. 
Il livello della retorica del
giovane Kim Jong Un sembra voler bucare la nostra
noncuranza sollevandosi di parecchi toni. Se un capo di stato minaccia
di radere al suolo le città USA si guadagna inevitabilmente i titoli di
testa di ogni medium che abbia memoria dell’immaginario di Hollywood, e
qualche sopracciglio in più si solleva (e anche qualche elicottero in
più). Poco sappiamo delle dinamiche interne del potere in Corea del
Nord, uno stato eremita, ma possiamo lo stesso scommettere che nessuno
al suo vertice pensi di vincere una guerra con gli Stati Uniti d’America
fino a portarla sulla scala della guerra termonucleare. A Pyongyang non
sono dei suicidi, o almeno non fino a questo punto.
Come leggere i fatti, allora?
Forse più avanti sapremo qualcosa di più, ma qualche punto fermo c’è già.
Primo. Il contesto delle minacce:
ogni anno le forze armate USA e quelle della Corea del Sud fanno
gigantesche esercitazioni militari congiunte a ridosso della Corea del
Nord. Laggiù al Nord non sono mai tranquilli, come non lo sarebbero gli
USA se una grossa armata di un paese lontano migliaia di chilometri
considerato un nemico strategico facesse le proprie manovre a un miglio
dalle proprie coste. Ogni anno non si contano le proteste e qualche
volta si registrano scaramucce di confine. Quest’anno è soltanto tutto
più intenso.
Secondo. Le manovre del 2013 sono affrontate per la prima volta dal nuovo leader della dinastia nordcoreana, Kim Jong Un.
Poiché il nonno e il padre che lo hanno preceduto hanno incentrato il
loro ruolo guida su una retorica agiografica, titanica ed eroica rivolta
contro nemici potentissimi, l’ex rampollo (ufficialmente definito come
“Grande Successore”) è subito assorbito dal ruolo. Non dovrà essere da
meno, anzi: dovrà mostrarsi più risoluto, esibire nemici più duri, e
giustificazioni più spietate per schiacciarli. Non verrebbe capito
molto, se adottasse invece il linguaggio di papa Francesco sulla
“tenerezza”. In genere nessun leader in questo pianeta sembra adottare
quel linguaggio. Tanto meno se ne serve un dittatore acerbo che deve
iniziarsi per via militare, non tanto agli occhi del mondo, quanto a
quelli dei suoi compatrioti, che vivono in una bolla mediatica separata
dalla nostra.
Terzo. Il paese è in perenne crisi alimentare, e più volte ha trovato accordi con il nemico per garantirsi degli aiuti. Avere un nemico fa comodo a ogni potere, e un modus vivendi si trova, i do ut des
cinici possono essere alimentati dallo scontro, dalle pressioni, dalle
minacce reciproche. Proprio mentre il teatro strategico dell’Oceano
Pacifico diventa più importante, e gli USA aumentano la propria presenza
in funzione anti-cinese, un nemico nell’area fa comodo, per quanto riottoso, imprevedibile e impenetrabile. Chi le sloggia più le basi americane? Il giapponese Hatoyama,
che aveva provato a mandarne via una, non c’è riuscito, e ha persino
dovuto dimettersi da premier, nel 2010. Già ora tutto il dispositivo si
sta rafforzando.
A Mosca
tutto questo non piace, perché basterebbe un guasto meccanico per
scatenare gli automatismi dei grandi apparati in assetto di guerra.
E anche a Pechino
la situazione non piace per nulla, perché va a perturbare la sua sfera
d’azione più vicina, nei mesi già agitati dalle nuove tensioni con il
Giappone per via delle isolette contese, le Senkaku-Diaoyu.  Di certo i
cinesi non vogliono che il vicino abbia armi nucleari, né che faccia un
uso così rozzo della deterrenza. All’ONU hanno persino votato con gli
USA per imporre sanzioni a Pyongyang sul programma nucleare.
La
guerra termonucleare può attendere anche stavolta, ma ovunque nel mondo
l’uso delle leve del potere si fa più esasperato di fronte al rapido
mutare degli equilibri. A Cipro prosciugano i conti correnti, in Estremo Oriente si dà fondo alla retorica bellica. Ma stanno parlando di noi, anche se per ora non sembra.

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