Il governo USA sapeva già dell’attentato

Questa
rivelazione importante sull’omicidio dell’ambasciatore USA in Libia,
proveniente da uno dei giornali più ben fatti del ‘mainstream’, il
britannico The Independent, ci è stata segnalata per prima dalla Redazione di IRIB, la Radio Iraniana in lingua italiana, con un suo articolo in homepage.
Ci è parso subito significativo che a mettere al corrente un pubblico
italiano su una notizia così rilevante – per giunta di provenienza
occidentale – sia stata una redazione di Teheran. Le redazioni di Roma e
Milano, invece, evitano di dare risalto alla vicenda. Preferiscono
giocare con i loro soliti schemi, che aiutano a non raccontare
l’imbarazzante alleanza occidentale, nella sporca guerra di Libia, con i
peggiori tagliagole. Abbiamo tradotto l’articolo dell’Independent e ve lo proponiamo qui di seguito:

Clamorose rivelazioni e retroscena sull’assassinio del diplomatico USA
Esclusivo: l’America «è stata preavvertita dell’attacco all’ambasciata, ma non ha fatto nulla»
di Kim SenguptaThe Independent.
Le
uccisioni dell’ambasciatore USA in Libia e di tre suoi collaboratori
sono state verosimilmente il risultato di una falla grave e continua
nella sicurezza, è in grado di rivelare The Independent.
I funzionari americani ritengono che l’attacco
sia stato pianificato, ma Chris Stevens era tornato nel paese solo da
poco, mentre i dettagli della sua visita a Bengasi, dove poi lui e il
suo staff sono morti, dovevano rimanere riservati.
L’amministrazione USA sta
ora fronteggiando una crisi in Libia. I documenti sensibili sono
scomparsi dal consolato di Bengasi e la posizione presumibilmente
segreta del “rifugio” in città, dove il personale si era ritirato, è
stata intensamente attaccata con i mortai. Altri simili rifugi lungo
tutto il paese non sono più considerati “sicuri”.
Si
sostiene che alcuni dei documenti che ora mancano dal consolato
elencano i nomi dei libici che stanno lavorando con gli americani,
esponendoli al rischio nei confronti dei gruppi estremisti, mentre si
afferma che alcuni degli altri documenti si riferiscono a contratti
petroliferi.
Secondo
fonti diplomatiche ad alto livello, il Dipartimento di Stato USA aveva
informazioni credibili già 48 ore prima che i tumulti si volgessero al
consolato di Bengasi e all’ambasciata al Cairo, sul fatto che le
missioni americane potevano essere prese di mira, ma nessun avvertimento
è stato indirizzato ai diplomatici affinché si mettessero in allerta e
in “serrata”, attenendosi a regole che limitano fortemente i movimenti.
Stevens
era stato in visita in Germania, Austria e Svezia ed era appena tornato
in Libia quando si è svolto il suo viaggio a Bengasi, quando il
personale di sicurezza dell’ambasciata USA stabiliva che la missione
poteva essere intrapresa in modo sicuro.
Otto
americani, alcuni dei quali erano militari, sono rimasti feriti
nell’attacco in cui hanno perso la vita Stevens, Sean Smith, un
ufficiale incaricato dell’informazione, e due marines. Tutto il
personale che si trovava a Bengasi è stato ora spostato nella capitale,
Tripoli, e quelli il cui lavoro sia considerato non fondamentale
potrebbero essere trasferiti dalla Libia.
Nel
frattempo, una squadra di controffensiva antiterroristica FAST, del
Corpo dei Marines, è già arrivata nel paese da una base in Spagna e si
ritiene che altro personale sia già in cammino. Unità aggiuntive sono
state messe in stato di attesa in vista del loro trasferimento in altri
Stati in cui la loro presenza possa rendersi necessaria ora che scoppia
il furore anti-americano innescato dalla diffusione di un film che
disprezzato il profeta Maometto.
Una
folla di diverse centinaia di persone ieri ha preso d’assalto
l’ambasciata americana nella capitale yemenita Sanaa. Altre missioni che
sono state messe in allerta speciale comprendono quasi tutte quelle del Medio Oriente, così come in Pakistan, Afghanistan, Armenia, Burundi e Zambia.
Alti
funzionari sono sempre più convinti, tuttavia, che la feroce natura
dell’attentato di Bengasi, in cui sono state utilizzate granate, indica
che non era l’effetto di una rabbia spontanea dovuta al video, intitolato Innocence of Muslims («L’innocenza dei musulmani», NdT).
Patrick Kennedy,
Sottosegretario al Dipartimento di Stato, si è detto convinto che
l’assalto fosse pianificato per via della natura vasta e diffusa delle
armi.
Vi è una convinzione crescente che l’attacco sia avvenuto per vendicare l’uccisione durante un attacco con droni in Pakistan di Mohammed Hassan Qaed, un operativo di Qa’ida – il quale era, come suggerisce il suo nome di battaglia Abu Yahya al-Libi, un libico – e coordinato con l’anniversario degli attentati dell’11 settembre.
Il senatore Bill Nelson,
membro della Commissione sull’Intelligence del Senato, ha proclamato:
«Chiedo ai miei colleghi in seno alla commissione di indagare
immediatamente su quale ruolo potrebbero aver giocato nell’attacco al-Qa’ida o sue affiliate e di prendere gli opportuni provvedimenti.»
Secondo
fonti all’interno degli apparati di sicurezza, il consolato aveva
superato una “visita di controllo” per prevenire qualsiasi violenza che
fosse collegata all’anniversario dell’11/9. In occasione degli eventi
reali, sul muro perimetrale è stata fatta un apertura in meno di un
quarto d’ora da una folla inferocita che aveva iniziato ad attaccarlo
intorno alle dieci di notte di martedì. C’è stata, secondo i testimoni,
ben poca difesa da parte delle guardie locali, trenta o poco più, che
dovevano proteggere il personale. Ali Fetori, 59 anni, ragioniere, che
vive nelle vicinanze, ha rivelato: «Gli uomini della sicurezza
semplicemente sono tutti scappati e le persone passate al comando erano i
giovani con pistole e bombe.»
Wissam Buhmeid,
il comandante della brigata Scudo della Libia, approvata dal governo di
Tripoli, di fatto una forza di polizia di Bengasi, ha sostenuto che è
stata la rabbia per il video su Maometto che ha fatto sì che le guardie
abbandonassero le loro postazioni. «C’erano sicuramente persone delle forze di sicurezza che consentivano che l’attacco accadesse
perché erano esse stesse offese dal film; avrebbero assolutamente messo
la loro fedeltà al Profeta al di sopra del consolato. Le morti sono
nulla in confronto agli insulti al Profeta.».
Si
ritiene che Stevens sia stato abbandonato nell’edificio dal resto del
personale dopo che non si riusciva a trovarlo in mezzo al fumo denso
causato da un incendio che aveva avvolto l’edificio. È stato scoperto
disteso in stato di incoscienza dalla popolazione locale e portato in un
ospedale, il Centro Medico di Bengasi, dove, secondo un medico, Ziad Abu Ziad, è morto a causa dell’inalazione del fumo.
Una
squadra di soccorso americana forte di otto persone è stata inviata da
Tripoli e portata dalle truppe al comando del capitano Fathi al-Obeidi,
della Brigata 17 febbraio, fino al rifugio segreto per prelevare circa
quaranta persone dello staff statunitense. Sull’edificio si è poi
scatenato un fuoco di armi pesanti. «Non so come abbiano trovato il
posto per compiere l’attacco. È stato pianificato, la precisione con cui
i mortai ci colpivano era troppo precisa per dei rivoluzionari
qualsiasi», ha affermato il capitano Obeidi. «Ha cominciato a piovere su
di noi, circa sei colpi di mortaio sono caduti direttamente sul
sentiero verso la villa.»
I
rinforzi libici sono finalmente arrivati, e l’attacco è finito. Sono
arrivate notizie su Stevens, e il suo corpo è stato prelevato
dall’ospedale e riportato a Tripoli con altri morti e i sopravvissuti.
La
madre di Steven, Mary Commanday, ha parlato ieri di suo figlio. «Ha
fatto bene quello che ha fatto, e ne ha fatto un ottimo lavoro. Avrebbe
potuto fare un sacco di altre cose, ma questa era la sua passione. Ho un
buco nel mio cuore», ha dichiarato.
[…]
Traduzione a cura di Matzu Yagi.

Fonte: http://www.independent.co.uk/news/world/politics/revealed-inside-story-of-us-envoys-assassination-8135797.html.

Tratto da: http://www.megachip.info/tematiche/guerra-e-verita/8880-il-governo-usa-sapeva-gia-dellattentato.html.

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