Lettera aperta a un cinico

di Pino Cabras – da Megachip.
Caro Michele Serra,
anche se non ti conosco di persona, ti parlo con la confidenza di chi ti legge da decenni. Sono sicurissimo che nella tua casella e-mail, dopo la tua “Amaca” del 28 giugno sulla TAV, si sta riversando un subisso di messaggi, compresi quelli molto sgradevoli e arrabbiati. E ti riferiranno pure che la blogosfera e i social network sbucciano ogni singolo rigo della tua riflessione. In anni di polemiche ti sarai fatto una buccia molto grossa. Mi chiedo fino a che punto questo tegumento protettivo, una mesta corteccia di pantofole, finirà per coincidere con il cinismo conservatore che da tempo ha vampirizzato il cinismo arguto del satiro che fu. Un tempo il tuo cinismo era civismo. Oggi è solo un distacco ammodo e perbene dai rumori di questo mondo fastidioso.
Mentre te ne stai lì distante, somigli come una goccia d’acqua a quei giornalisti che una volta avevi criticato – cito a memoria – «per non saper leggere i comunicati stampa che ci manda la natura». Ricordi? Parlavi di un lago grande come la Lombardia che si era formato da un anno all’altro in Sudamerica dopo lo scioglimento di un ghiacciaio andino, e ti turbava che la stampa mainstream dedicasse solo distratti trafiletti a una notizia che la gerarchia della realtà doveva sparare a titoli cubitali. Poi te ne sei presto dimenticato anche tu, e oggi non ti fai più nemmeno queste domande, perché segui la grande corrente delle notizie. A chi dice no alla linea TAV concedi tutt’al più che si tratti di «un sacco di gente brava, ragionevole e informata». Come quando diciamo «in fondo è una brava persona».
Giornalisticamente è un po’ pochino. Togliti, anzi, scorticati per favore quelle pantofole. I giornalisti sciupano ben altre suole, se vogliono. Prova a riconoscere in modo meno sfuggente quanto davvero quella gente sia «ragionevole e informata».
Scoprirai che – partendo dai problemi di una piccola realtà territoriale – c’è un popolo che sa a menadito le regole europee, tesse relazioni di raggio continentale, studia gli intrecci societari delle imprese-monstre dei consumatori di suoli. E scoprirai che dentro queste corporation non scorge luminosi europeisti, bensì lobbysti che truccano le aste, corrompono i politici e approntano il letto alla ‘ndrangheta. Il tutto con la benedizione delle banche.
La gente che resiste all’Alta Velocità in Val di Susa non sa che farsene delle trombonate di chi promette speranze europee. Prima di fare il Carducci «su larga scala» di una nazione europea che ci salverà, caro Serra, prova ad affacciarti su un qualunque tinello della fu classe media di Atene per raccontare ai greci che «a favore di quel buco c´è l´Europa». Credo che riceveresti “τα ψάρια στο πρόσωπο”. E anche qualche “ντομάτα”.
Perché non è affatto vero che l’antitesi sia fra gli umori reazionari delle piccole patrie e la missione civilizzatrice di «un’idea di mondo più funzionale e dinamica». Guarda caso tra le realtà più tenaci della Resistenza che si oppose alla macchina da guerra germanica (a suo modo assai «funzionale e dinamica») troviamo le piccole patrie, le repubbliche partigiane delle valli. Lo sai cosa fanno i partigiani della Val di Susa che muoiono in questi anni? Fanno avvolgere le loro bare con la bandiera No TAV. Ti sembra etnicismo regressivo, questo? Non cogli il significato storico, morale, culturale di un passaggio di testimone?
Voglio proprio vedere dove sta di casa la «sentina di ogni grettezza reazionaria, di ogni chiusura di orizzonte». I valsusini hanno uno sguardo a trecentosessanta gradi, altro che orizzonti chiusi. Mentre le redazioni son piene di struzzi, questi valligiani si guardano intorno, studiano e vedono. Vedono che la loro vicenda non è l’unico “cortile” che si vuole devastare. Vedono che c’è il Mose di Venezia, il Ponte sullo Stretto, i nuovi grattacieli milanesi, la bretella autostradale ligure della Gronda, le devastazioni militari in Sardegna, le tante opere inutili e dannose. Se guardi a queste opere faraoniche, sono l’unica speranza che le classi dirigenti possono agitare per cavar sangue dalle rape e iniettarlo in una qualche “crescita economica”, ossia un modello di sviluppo ormai dannoso. Diciamo pure un cane morto, che si vorrebbe rianimare con i miliardi sottratti alle scuole. E il volto dell’Europa, l’unico sembiante dell’Europa che oggi concretamente si presenta, qual è? È quello che chiederà ogni anno per i prossimi vent’anni decine di miliardi di euro in sacrifici e tagli. O conosci altri volti politici dell’Europa? Mi dici quali sono? Quali forze politiche esistenti li incarnano? Volti che siano tangibili, non fumosi, spendibili nel dialogo con quelle genti che dovrebbero farsi distruggere la terra, in Val di Susa come altrove?
Citi la coerenza di Borghezio. Il suo mondo non è poi così coerente, visto che la Lega vuole l’Alta Velocità. Però è sicuramente possibile che personaggi terribili come lui, che criticano l’Europa dei banchieri con un’intensità che l’attuale sinistra non osa nemmeno affrontare, arrivino a vincere su tutta la linea, dopo che le nostre classi medie saranno impoverite con la complicità della sinistra. O nutri qualche speranza nel PD?
Un caro saluto,
Pino Cabras
L’AMACA del 28/06/2011 (Michele Serra, la Repubblica)
«Siamo come i galli contro i romani», dicono i no-Tav. Duole ricordare loro che i romani stravinsero, e usando una potenza soverchiante al cui confronto le legioni di Maroni sono una delegazione amichevole. Giocava, in favore dei romani, un salto tecnologico (e politico, scientifico, amministrativo, culturale, burocratico) di qualche secolo. Chi vince soggiogando popoli e paesaggi non è mai simpatico, ma spesso incarna un´idea di mondo più funzionale e dinamica, che sta in piedi perché (e fino a che) favorisce molte più persone di quante ne danneggia. La lotta dei no-Tav ha molte buone ragioni, e a parte i fanatici che usano quel luogo e quella situazione come una palestra (una vale l´altra), un sacco di gente brava, ragionevole e informata è contro quel buco nella montagna. Ma a favore di quel buco c´è l´Europa, e per quanto arbitraria e discussa sia, l´istituzione transnazionale che chiamiamo Europa è la sola speranza che abbiamo di un futuro pensato su larga scala, e condiviso con altri popoli. Un futuro che ci salvi dalla dannazione delle Piccole Patrie, che sono la sentina di ogni grettezza reazionaria, di ogni chiusura di orizzonte. Non possiamo invocarla quando ci fa comodo, l´Europa, e maledirla quando mette il naso nel nostro cortile. O la malediciamo sempre, come fa con qualche coerenza Borghezio, o ne accettiamo lo scomodo ma autorevole patrocinio.

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