Con la carica alla folla che accompagnava il feretro della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, uccisa a Jenin l’11 maggio 2022 dai soldati invasori israeliani, le forze armate occupanti si sono macchiate dell’ennesimo e oltraggioso crimine, altra benzina sul fuoco plurisecolare che divampa in Terra Santa.
Le immagini rivelano l’assoluta sfrontatezza di uomini in divisa che si considerano immuni, protetti e irresponsabili. In queste stesse ore, il governo israeliano autorizza la costruzione di altre migliaia di case di coloni là dove non dovrebbero stare.
Risulta ancora più indecente il silenzio di molti politici, intellettuali e operatori dei media occidentali, che si indignano solo dentro il perimetro di conflitti e episodi indicati dalle classi dominanti, mentre tacciono su tante ingiustizie e violenze scandalose come l’occupazione israeliana.
Nonostante sia di moda la “distinzione fra aggressore e aggredito”, per molti tale moda si ferma alle soglie della Cisgiordania. I talk show ammettono un solo show.
Per un giornalista ucciso, se non rientra nella cornice dell’indignazione consentita, a troppi – con poche eccezioni – basta una distratta alzata di spalle, e nemmeno il sopracciglio si alza per la profanazione di un funerale: una delle tante che si ripetono frequentemente dove si vuole impedire la nascita di uno Stato per una comunità oppressa.