NON Cooperanti

di Pino Cabras

La giovane età di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli corrisponde alla stagione coraggiosa degli eroi che si immolano per una causa così come a quella dei combattenti che attraversano consapevolmente i piani bassi dei doppiogiochismi. Non mi convincono minimamente i discorsi che le trattano da “ragazzine”. Alla loro età ero già una persona strutturata, bene o male. Sento una continuità profondissima con quel che pensavo o sentivo allora: il contenuto è lo stesso di quel tempo, solo la busta è un po’ sgualcita. Vanessa e Greta hanno fatto dunque delle scelte adulte, nella loro busta ancora nuova e fortunatamente intatta.
Quindi sgombriamo il campo dall’altro aggettivo/sostantivo. Marzullo e Ramelli NON hanno agito da “cooperanti”, laddove con questo termine s’intendano agenti pubblici o non governativi che portano avanti azioni di Cooperazione allo Sviluppo inquadrate ufficialmente nella politica estera italiana, gestita dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri. L’attribuzione del termine “cooperanti” non è mai stata appropriata quando già sapevamo del loro coinvolgimento attivo in favore di una parte belligerante che aggrediva uno
stato sovrano, composta da gruppi di estremisti che sono prevalentemente confluiti nell’ISIS, dietro lo schermo delle cancellerie europee che volevano favorire i gruppi “moderati”. Tanto meno la definizione risulta giusta ora che conosciamo i contenuti delle intercettazioni dei carabinieri, che hanno registrato i colloqui delle due italiane con i militanti siriani. È invece calzante e oggettivo definirle “attiviste schierate”, perché la loro prima preoccupazione non era lo sviluppo rurale né l’ambiente o l’educazione: era il retroterra sanitario dei combattenti impegnati in azioni militari.
Se la loro fosse ingenuità o corresponsabilità lo chiariranno le indagini. Queste vanno fatte, perché al tempo dei loro contatti con i combattenti ribelli siriani, erano già accessibili centinaia di video sui metodi della galassia jihadista in Siria. Le decapitazioni più patinate e hollywoodiane son venute dopo, ma YouTube offriva già tutto quel che c’era da sapere in proposito, comprese le teste tagliate, filmate da cellulari con mano malferma. E non era un bel vedere.  Le due donne italiane intrattenevano rapporti che le portavano a casa di combattenti inquadrati fra i responsabili di quelle azioni, non presso un’ipotetica società civile.
Infine alcune considerazioni sul dopo. Se si è pagato un riscatto che salva la vita di due persone occidentali, dobbiamo domandarci quali effetti potrà avere questo versamento per molte persone siriane. Con dodici milioni di euro – ammesso che la cifra sia quella – si può pagare un anno di stipendi di centinaia e centinaia di miliziani, che potranno integrarli con altri aiuti ufficiali e ufficiosi di vari Stati che da quattro anni in qua forniscono armi, addestramento e denaro per tenere in piedi la guerriglia in Siria. L’esercito siriano, dovendosi occupare di questa spina nel fianco, ha perciò meno forza sul fronte dell’ISIS, che infatti non sta indietreggiando. Aggiungo: chi ci dice che il flusso di denaro che alimenta lo jihadismo si ferma in Siria? I soldi passano veloci di mano in mano, possono andare anche in Nigeria, dove qualcuno starà pure equipaggiando l’armata jihadista di Boko Haram, che in certi giorni ammazza mille persone, eppure non si guadagna le nostre prime pagine. Sono gli stessi media che si chiedono ancora chi mai abbia addestrato i massacratori di Parigi. Che fine fanno queste distrazioni del nostro mondo, mentre interi mondi geopolitici si surriscaldano lasciando in terra migliaia di vittime? È questo quel che vogliamo?
Queste sono le ragioni per cui ritengo che la vicenda di questo strano rapimento non sia da trattare in modo sbrigativo, che vada indagata a fondo, e che non si debba fermare al dibattito tutto emotivo sulle ragazze che volevano il Bene.

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