NOTA PRELIMINARE DI PINO CABRAS
da Megachip.
Sulla vicenda di Charlie Hebdo consigliamo vivamente la lettura di questo potente e documentato articolo di Glenn Greenwald, il giornalista che ha fatto emergere con forza il caso di Edward Snowden (e tutto il “Datagate” sullo spionaggio totalitario in capo agli USA). Greenwald va dritto alla questione: la libertà di espressione vantata da governi e media occidentali, nonostante il motto “Je suis Charlie”, è una costruzione ipocrita, nella quale a lungo si era inserito il pezzo di narrazione della rivista francese. Il grande giornalista americano lo spiega con molti esempi, link, e anche molti disegni.
Aggiungiamo qui alla sua casistica una vicenda eclatante: proprio oggi la cronaca ci propone il caso del comico francese Dieudonné: da un anno in qua gli viene impedito di lavorare con ogni tipo di vessazione politica, mediatica, legale, amministrativa e fiscale, viene perseguitato e accusato ingiustamente di aver inventato un saluto nazista rovesciato (la famosa “Quenelle”, che non ha nulla a che fare con il nazismo), ogni sua battuta viene soggetta a un linciaggio mediatico, travisata, piegata paranoicamente fino a leggervi perfino l’apologia del terrorismo. Il primo ministro Manuel Valls, lo stesso che figurava fra i lugubri potenti che marciavano a Parigi in nome della libertà anche dei pensieri più estremi, dice a proposito di Dieudonné «Il razzismo, l’antisemitismo, il negazionismo e l’apologia di terrorismo non sono opinioni, sono reati» aggiungendo che occorre essere «implacabili» nel battersi «contro il terrorismo, certamente, ma anche contro la parola che uccide, la parola di odio».
Orwell chiamava questo modo patologico di pensare con la parola “bispensiero“. Tutto l’Occidente ne è permeato, come illustra bene l’articolo di Greenwald, e ciò ci dovrebbe far molta più paura di qualsiasi falso spauracchio agitato dai politicanti atlantisti.
Buona lettura.
P.C.
AGGIORNAMENTO DEL 14 GENNAIO 2015, h. 10.00. Dieudonné arrestato
Stamattina Dieudonné è stato arrestato per “apologia del terrorismo”. Il livello di pericolo per le libertà civili in Europa è tale da dover accendere tutte le lampadine dell’emergenza democratica.
Solidali con la stampa libera: altre vignette blasfeme
di Glenn Greenwald.
Difendere il diritto alle libertà di parola e di stampa, che in genere significa difendere il diritto di diffondere proprio le idee che la società trova più ripugnanti, è stata una delle
mie principali passioni durante gli ultimi vent’anni,
primacome avvocato e ora come giornalista. Ritengo quindi positivo quando un gran numero di persone si appella a gran voce a questo principio, come sta accadendo nelle ultime 48 ore in risposta al terrificante attacco al
Charlie Hebdo a Parigi.
Di solito la difesa del diritto alla libertà di parola è molto più di un compito isolato. Il giorno prima degli omicidi di Parigi, per esempio,
ho scritto un articolo su parecchi casi in cui dei musulmani sono stati perseguiti e perfino incarcerati da governi occidentali per loro opinioni politiche espresse online: attacchi che hanno provocato proteste relativamente piccole, anche da parte di quei paladini della libertà di parola che si sono tanto fatti sentire questa settimana.
Centrale per l’attivismo in difesa della libertà di parola è sempre stata la
distinzione tra la difesa del diritto di divulgare l’Idea X e l’approvare l’Idea X, una cosa che
solo i più ingenui fra noi non sono in grado di comprendere: si difende il diritto di esprimere idee ripugnanti pur essendo in grado di condannare l’idea in sé. Non c’è una contraddizione indiretta in questo: l’Unione Americana per le Libertà Civili (ACLU)
difende con vigore il diritto dei neonazisti di manifestare davanti a una comunità piena di sopravvissuti all’Olocausto a Skokie, Illinois, ma non si unisce alla manifestazione; essi invece a gran voce disapprovano come grottesche le idee in questione pur difendendo il diritto di esprimerle. Ma la difesa, questa settimana, del diritto di libertà di parola era così vivace che ha dato origine a un principio nuovo di zecca: difendendo la libertà di parola non solo si difende il diritto di divulgare il pensiero, ma si approva il contenuto del pensiero stesso. Molti scrittori
hanno quindi chiesto che per mostrare “solidarietà” con i disegnatori assassinati non si debba semplicemente condannare gli attacchi e difendere il diritto dei disegnatori di pubblicare, ma si debba pubblicare e persino celebrare quelle vignette. «La miglior risposta all’attacco a Charlie Hebdo»,
ha dichiarato l’editore di
Slate, Jacob Weisberg, «è quella di intensificare la satira blasfema».
Alcune delle vignette pubblicate da Charlie Hebdo
non erano solo offensive ma faziose, come quella che deride le schiave del sesso africane di Boko Haram mostrandole come regine dei servizi sociali. Altre vignette sono andate molto oltre, inventando false violenze da parte di estremisti che agiscono in nome dell’Islam o anche solo raffiguranti Maometto con immagini degradanti, contenendo invece un fiume di scherno nei confronti dei musulmani in generale, che in Francia non sono per niente potenti ma sono
principalmente
una popolazione di immigrati presi di mira ed emarginati. Ma non importa. Le loro vignette erano nobili e dovrebbero essere celebrate, non solo per motivi di libertà di parola ma per il loro contenuto. In un articolo di fondo intitolato “
La bestemmia di cui abbiamo bisogno”, Ross Douthat del
New York Times ha sostenuto che «il diritto di bestemmiare (e altrimenti di offendere) è essenziale per l’ordine liberale» e «quel tipo di blasfemia [che provoca la violenza] è proprio il tipo che ha bisogno di essere difeso perché è ciò che evidentemente serve al bene superiore di una società libera». Jonathan Chait del
New York Magazine effettivamente ha dichiarato che «non si può difendere il diritto [di bestemmiare] senza difenderne l’esercizio». Matt Yglesias di
Vox ha dato una visione molto più sfumata, ma
ha comunque concluso che «bestemmiare il Profeta trasforma la pubblicazione di queste vignette da un atto inutile in uno coraggioso e perfino necessario, mentre l’osservazione secondo cui il mondo se la caverebbe bene senza tali provocazioni diventa una forma di acquiescenza». Per conformarci a questo nuovo principio, su come ci si mostra solidali con il diritto di libertà di parola e con una energica stampa libera, pubblichiamo alcune vignette blasfeme e diversamente offensive sulla religione e i loro seguaci:
– Religione dell’odio!
– Stop all’immigrazione!
Vignetta sui musulmani… «È libertà di parola!»
Vignetta sugli ebrei… «È antisemitismo!»
È giunto il momento per me di essere celebrato per la mia coraggiosa e nobile difesa del diritto di libertà di parola? Ho inferto un colpo potente a favore della libertà politica e dimostrato solidarietà col libero giornalismo pubblicando vignette blasfeme? Se, come ha detto Salman Rushdie, è fondamentale che tutte le religioni siano sottoposte a «mancanza di rispetto senza paura», ho fatto la mia parte per sostenere i valori occidentali? Quando ho cominciato a vedere richieste di pubblicare queste vignette anti-islamiche, il cinico in me ha pensato che forse questo significava davvero solo sanzionare alcuni tipi di pensiero offensivo nei confronti di alcune religioni e dei loro seguaci, mentre proteggeva i gruppi più avvantaggiati. In particolare, l’Occidente ha passato anni a bombardare, invadere e occupare paesi islamici uccidendo, torturando e imprigionando senza legge musulmani innocenti, e il pensiero anti-islamico è stato un motore fondamentale per sostenere tali politiche.
Quindi è tutt’altro che sorprendente vedere un gran numero di occidentali celebrare vignette anti-islamiche non per motivi di libertà di parola ma perché ne approvano il contenuto. Difendere la libertà di parola è sempre facile quando ti piace il contenuto delle idee prese di mira o quando non appartieni al gruppo che viene diffamato (o decisamente non ti piace). Infatti, è evidente che se uno scrittore specializzato in arringhe apertamente contro i neri o antisemitiche venisse ucciso per le proprie idee non ci sarebbero diffusi appelli per ripubblicare questa spazzatura per “solidarietà” con il suo diritto alla libertà di parola. Effettivamente, Douthat, Chait e Yglesias si sono sforzati di affermare in modo chiaro che il loro era un appello solo per la pubblicazione di tali idee offensive nel caso limitato in cui la violenza è minacciata o perpetrata in risposta (in pratica riferendosi, per quanto ne so, al pensiero anti-islamico). Douthat ha anche utilizzato il corsivo per evidenziare quanto fosse limitata la sua difesa della blasfemia: «Questo tipo di blasfemia è proprio quello che ha bisogno di essere difeso».
Si dovrebbe riconoscere una valida considerazione contenuta nella tesi Douthat/Chait/Yglesias: quando i mezzi di comunicazione si astengono dal pubblicare del materiale per paura (piuttosto che per una volontà di evitare la pubblicazione di materiale gratuitamente offensivo), come
molti dei
principali organi d’informazione occidentali hanno ammesso di fare con queste vignette, questo è veramente preoccupante, una reale minaccia per la stampa libera. Ma in Occidente ci sono tutti i tipi di tabù deleteri che si traducono in autocensura o nella repressione forzata di idee politiche, da azioni penali e incarceramenti alla distruzione di una carriera: perché la più minacciosa è la violenza dei musulmani? (Qui non sto parlando della questione se i media dovrebbero pubblicare le vignette perché fanno notizia, voglio porre l’attenzione sulla richiesta che siano pubblicate decisamente, con approvazione, per “solidarietà”).
Quando all’inizio abbiamo discusso la pubblicazione di questo articolo per fare queste considerazioni, la nostra intenzione era quella di
incaricare due o tre disegnatori di creare vignette che deridono l’ebraismo e denigrano le figure sacre per gli ebrei come
Charlie Hebdo ha fatto con i musulmani. Ma
questa idea è stata impedita dal fatto che nessun disegnatore occidentale normale avrebbe osato mettere il proprio nome su una vignetta antiebraica, neanche se fatta con intenti satirici, perché così facendo avrebbe
immediatamente e definitivamente distrutto la propria carriera, come minimo. Nei media occidentali i commenti (e le vignette) contro l’Islam e i musulmani non valgono niente; il tabù − che è almeno altrettanto forte, se non di più − sono le immagini e le parole contro gli ebrei. Perché Douthat, Chait, Yglesias e i crociati per la libertà di parola che la pensano come loro non chiedono la pubblicazione di materiale antisemita in solidarietà o come mezzo per tener testa a questa repressione? Sì, è vero che organi di stampa come il
New York Times in rari casi pubblicano immagini del genere, ma solo per documentare il fanatismo odioso e condannarlo, non per pubblicarlo per “solidarietà” o perché merita una divulgazione seria e rispettosa.
Con tutto il rispetto per
la grande disegnatrice Ann Telnaes, non è vero che quelli di
Charlie Hebdo «recavano offesa con parità di trattamento». Così come Bill Maher, Sam Harris e altri con l’ossessione islamofoba, prendere in giro l’ebraismo, gli ebrei e/o Israele è qualcosa che
raramente
(
se non mai) fanno.Se costretti, possono mostrare rari e isolati casi in cui pronunciano qualche critica al giudaismo o agli ebrei, ma la grande maggioranza dei loro attacchi sono riservati all’Islam e ai musulmani, non all’ebraismo e agli ebrei.
Per vedere quanto questo sia vero, si consideri il fatto che
Charlie Hebdo − trasgressore secondo “parità di trattamento” e difensore di tutti i tipi di linguaggio offensivo – nel 2009 aveva
licenziato uno dei propri autori per avere scritto una frase che qualcuno ha definito antisemita (l’autore era stato accusato di reato d’odio e
ha poi avuto una sentenza favorevole contro la rivista per licenziamento senza giusta causa). “Parità di trattamento” vi sembra offensivo? Non è vero nemmeno che minacciare violenza in risposta a opinioni offensive sia pertinenza esclusiva di estremisti che affermano di agire in nome dell’Islam.
Corpus Christi, un’opera teatrale di Terrence McNally del 1998 raffigurante Gesù come gay, è stata
ripetutamente annullata dai teatri a causa di minacce di attentati. Larry Flynt fu
reso paraplegico da un evangelico fautore della supremazia bianca che si opponeva alla rappresentazione pornografica di coppie interrazziali nella rivista
Hustler. Nel 2003, dopo che ebbero pubblicamente criticato George Bush per la guerra in Iraq, le Dixie Chicks furono
sommerse da minacce di morte che resero necessaria una protezione massiccia e che alla fine
le costrinsero a chiedere scusa per paura. La violenza provocata dal fanatismo ebraico e cristiano è diffusissima, dai medici abortisti assassinati ai locali gay bombardati e ai 45 anni di brutale occupazione della Cisgiordania e di Gaza a causa in parte della convinzione religiosa (che accomuna Stati Uniti e Israele) secondo cui Dio avrebbe sancito che loro sono i proprietari di tutto il territorio.
E questo è del tutto indipendente dalla sistematica violenza di Stato in Occidente sostenuta, almeno in parte, dal
settarismo religioso .
David Brooks del
New York Times oggi sostiene che il pregiudizio anticristiano è talmente diffuso in America – in cui non è mai stato eletto un presidente non cristiano − che «l’Università dell’Illinois ha licenziato un professore che insegnava la visione cattolica romana sull’omosessualità». Brooks ha dimenticato di dire che lo stesso ateneo ha appena
rescisso il contratto di ruolo con il professor Steven Salaita per i tweet che ha pubblicato durante l’attacco israeliano a Gaza, che l’università ha giudicato eccessivamente ingiuriosi verso i leader ebrei, e che al giornalista Chris Hedges
è stato appena revocato l’invito a parlare presso l’Università della Pennsylvania per il reato d’opinione di tracciare somiglianze tra Israele e l’ISIS.
Questo è un vero tabù − un’idea repressa − potente e assoluto come nient’altro negli Stati Uniti, tanto che Brooks non riuscirà nemmeno a riconoscerne l’esistenza. Negli Stati Uniti è certamente più un tabù questo che criticare i musulmani e l’Islam, critica che
si sente così spesso negli
ambienti mainstream −
compreso il Congresso − che si nota a malapena di più.
Questo sottolinea il punto chiave: in Occidente ci sono idee e punti di vista di tutti i tipi che vengono repressi. Quando quelli che richiedono la pubblicazione di queste vignette anti-islamiche cominceranno a chiedere anche la pubblicazione favorevole di quelle idee, io crederò alla sincerità dell’applicazione molto selettiva dei loro principi di libertà di parola. Si può difendere la libertà di parola senza dover pubblicare, figurarsi accettarle, le idee offensive prese di mira. Ma se non è così, diamo uguale applicazione a questo nuovo principio.
Foto di Joe Raedle/Getty Images; ulteriori ricerche a cura di Andrew Fishman