Servitù militari, serve un grande piano di bonifiche e riconversione

Sulle servitù militari in Sardegna si misura la serietà e la coerenza di chi si presenta alle elezioni.

I partitoni non ne parlano. Fingono di dimenticare decine di migliaia di km quadri a mare, e decine di migliaia di ettari a terra: sono le superfici sottratte alla Sardegna per le attività militari, in una misura di gran lunga superiore al resto dei territori della Repubblica Italiana e senza paragoni in Europa. Qui si può sperimentare in segreto ogni tipo di arma letale. Qui rimangono i veleni, ma i profitti volano via, altrove.

Nel periodo 2005-2010 ho fatto parte del Comitato Misto Paritetico sulle Servitù Militari (CoMiPa) della Sardegna, un tavolo istituzionale con il compito di esaminare i programmi delle installazioni militari per conciliarli con i piani di assetto territoriale della Regione. Ho visitato tutti i poligoni. Lì ho capito che qualcuno, nei palazzi di Roma e di Cagliari, ha reso impossibile conciliare gli interessi. Troppe le pretese dei militari, e troppo il loro potere. Mentre erano senza schiena i politici sardi.

Volete qualche esempio?

Nel 2014 il governo Renzi ha trasformato i poligoni in aree industriali. I limiti di inquinamento da allora possono essere superati anche di cento volte rispetto alla normativa precedente. Per prenderci meglio in giro, il decreto si chiamava “Ambiente protetto”! Naturalmente i parlamentari sardi del Pd, quelli che ci danno lezioncine di competenza, lo votarono senza battere ciglio, mentre il M5S votò contro.

I cosiddetti indennizzi di oggi sono spiccioli che d’ora in poi dovremo considerare un insulto. La giunta regionale del presidente Pigliaru non ha chiesto nemmeno quel poco. E nel 2017 ha avuto la faccia tosta di definire “un accordo storico” le proprie mani vuote, che ci ha presentato dopo aver firmato a Roma la propria capitolazione. Possiamo dire che la situazione delle servitù è peggiorata con la complicità di un’intera classe dirigente di centrodestra e centrosinistra, che ora può essere finalmente sconfitta dal popolo sardo.

Servono scelte politiche di grande portata. Dopo la Guerra Fredda, quando la Germania fu riunificata, ottenne un programma comunitario per la riconversione economica e sociale delle aree dipendenti dalle produzioni e dalle presenze militari. Furono grandi risorse non solo nazionali, perché internazionali erano state le cause di quel prolungato impatto militare.

In un altro emisfero, a Portorico, la dismissione di un grande poligono ha comportato la creazione di un Fondo da centinaia di milioni di dollari. Qualcosa di simile, e certamente molto più in grande, serve anche per la Sardegna, da subito.

Ecco le idee per cambiare il posto della Sardegna nel mondo, a partire dalla funzione militare. Questo attraverso:

  • La convocazione di una commissione indipendente internazionale per la quantificazione dei danni economici, sociali, ambientali, sanitari e culturali.

  • Ove la commissione rilevasse patologie connesse alle attività militari, sospensioni mirate delle attività.

  • Concorsi d’idee internazionali per la riqualificazione delle aree interessate da una forte presenza militare.

  • L’apertura della vertenza con le istituzioni italiane e sovranazionali per bonifiche, dismissione e riconversione, con un piano di indennizzi dignitoso.

  • La gestione dei fondi per la bonifica dovuti dall’inquinatore attraverso la creazione di una filiera integrata per nuove opportunità economiche, specie nei settori tecnologici più innovativi (che ci sono e devono contare di più).

Si dovranno promuovere progetti su scala internazionale per diversificare le attività economiche nelle zone dipendenti dal settore difesa, riconvertire l’economia ed agevolare l’adeguamento delle imprese sane, in tutti gli ambiti.

Finora abbiamo avuto poco lavoro sotto il segno della guerra e delle malattie. Ma possiamo creare tanto lavoro sotto il segno della pace.

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