Vent’anni di lacrimogeni?

di Pino Cabras – da Megachip.

Vent’anni di lacrimogeni e di arresti, vent’anni di popolazione perennemente ostile. Questo è uno dei prezzi che ormai sembra disposto a pagare chi si ostina a fare la linea TAV in Val Susa. Gli altri prezzi gli osservatori onesti li hanno già squadernati davanti a noi: sono le devastazioni ambientali, sono le decine di miliardi dirottati dalle infrastrutture necessarie e dalla scuola per essere inceneriti nell’affarismo politico delle classi dirigenti italiane. Vent’anni di lacrimogeni sono un prezzo da esercito coloniale, sono cifre da Cisgiordania occupata.
In un clima di conflitto così forte giocano la loro parte infiltrati e provocatori, ma il centro del discorso politico non potrà essere quello, sebbene i violenti pesino e svolgano perfettamente il loro ruolo, quando suscitano moniti, “riflessi d’ordine” e tutte le prevedibili risposte stereotipate che il ceto politico italiano sa sfoderare ancora oggi, dopo decenni di strategie della tensione che non gli hanno insegnato nulla (ma a qualcuno fin troppo). La casta è aggrappata a una certa idea della legalità, una legalità chimica permanente, uno Stato che odora di orto-cloro-benzal-malonitrile. Moltiplichiamo i candelotti lacrimogeni di queste settimane in Val Susa per tutti i casi italiani in cui c’è un conflitto latente fra lo Stato e una comunità locale, e avremo una guerra civile chimica che modifica il concetto di legalità su una scala più vasta. Siamo di fronte a un passaggio preoccupante, che non incontra vere opposizioni all’interno del sistema dei partiti, anzi.
Il centrodestra non ha fatto certo autocritica sulla gestione del G8 di Genova di dieci anni fa, e sappiamo dunque cosa aspettarci. Ma non c’è da attendersi nulla nemmeno dall’altro fronte della casta politica. Il PD ha auspicato e coperto politicamente l’intervento paramilitare che ha espugnato i presidii anti-scavi dei No-TAV.
Prendete l’inquietante articolo dell’ex sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, pubblicato il 1° luglio 2011 su «La Stampa». A chi si fa ancora fregare da una delle parole ormai più spoglie ed esauste del lessico politico, “riformismo”, Chiamparino offre perfino il richiamo del titolo: “Tav, il riformismo passa dalla Val di Susa”. Solo che non dobbiamo aspettarci i ragionamenti di un Napoleoni o di un Ruffolo. La cifra dell’articolo è tutta nella soddisfazione sogghignante che l’esponente PD esprime in faccia ai No-TAV, per averli visti «ripiegare con le pive nel sacco». Un linguaggio che suona poco riformista e suona invece molto come il risolino di un ufficiale sabaudo che si bea di uno scempio soldatesco in una provincia ribelle.
Chiamparino, l’uomo che il PD vorrebbe mettere in carico dei problemi del Nord per “parlare al territorio” portando i valori degli anni duemila, quando il territorio parla chiaro, come in Val Susa, si dimostra in tutto e per tutto un uomo fermo al 1861.
Per lui, come per tutto il PD, occorre «affermare con nettezza che non esiste un interesse generale ed una legalità autoproclamate da una minoranza come se, parafrasando una ben nota affermazione, interesse generale e legalità si pesassero e non si contassero.» Le autonomie locali sono carta straccia. Il modello è il caro vecchio centralismo che passa come uno schiacciasassi sopra le differenze. Pazienza se l’interesse generale di una maggioranza sia in questo caso indimostrato. Pazienza se le preoccupazioni di legalità di questo anacronistico ufficiale dei Savoia non si spingono fino a fare il nome di Paolo Comastri, il direttore della Lyon Turin Ferroviaire recentemente condannato per turbativa d’asta proprio in relazione alla TAV. C’è nel pensiero (si fa per dire) di Chiamparino la stessa pervicace e distruttiva ostinazione alla base di tutti gli interventi di questi anni a carico di un suolo fragile come quello italiano. C’è la stessa ideologia della “crescita” che deve avvenire anche a costo di consumare il territorio. Per Chiamparino i nemici sono fra «chi ritiene che l’unica strada sia, nei fatti, la decrescita», che lui ribattezza però, truccando le carte, «gestione del declino». Per prendersi il sicuro, anziché combattere il declino italiano con una sacrosanta battaglia per investire nella scuola, Chiamparino si affida alle trivelle, alle quali non vede alternative. Perché? Perché per il riformismo dei maggiordomi dei comitati d’affari non c’è mai alternativa.
Lo dice bene il sociologo Marco Revelli in un’intervista al «Fatto Quotidiano» del 3 luglio 2011: «Per opporti devi essere anti-sistema. Per farlo è necessaria una forte consapevolezza di quello che sei. Ma se abbiamo smarrito la coscienza di noi stessi, allora vale la logica dell’utile». Dovrebbero meditare su questa riflessione tutti gli illusi che si attendono un cambiamento della prossima era post-Berlusconi. La classe dirigente del centrosinistra è altrettanto irriformabile. Ha valori e obiettivi politici che non si spostano di un centimetro dai programmi del capitalismo assoluto, dalle cricche affaristiche, e dalle loro costosissime pianificazioni.
Nel sindacato della FIOM – per via delle sue antenne molto sensibili – il segno di questa contraddizione arriva in pieno, e perciò non deve sorprendere poter leggere quanto scrive dal treno il dirigente sindacale Giorgio Airaudo sul suo blog, mentre si reca alla manifestazione No-TAV: «la politica che vuole l’alternativa dovrebbe nutrirsi di questa partecipazione e di proposte che vadano oltre le “grandi opere” finanziate con soldi pubblici che non abbiamo e non avremo, per merci che non avranno bisogno di velocità ma di innovazione di prodotto che tenga conto della riduzione energetica, dei limiti ambientali del pianeta e di garantire il diritto al lavoro per tutte e tutti nella libertà. Vedranno tutto ciò? O è un problema di ordine pubblico anche per il centrosinistra?».
Airaudo ha toccato davvero lucidamente il punctum dolens. Il punto è che il centrosinistra non è «la politica che vuole l’alternativa»; non certo a livello dei suoi dirigenti. E perciò la questione TAV sarà un banco di prova, un laboratorio politico generale per un certo tempo ancora, in cui si disegneranno il profilo del sistema politico italiano, la tutela della libertà, e le priorità dell’economia.
Per l’intanto il PD ha scelto bulldozer e lacrimogeni. Chiamparino, Bersani, Fassino nonché il responsabile sicurezza del PD, Fiano, hanno fatto una scelta di campo.

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