di Pino Cabras, Simone Santini e Naman Tarcha – da Megachip.
Il titolo del «Corriere della Sera» del 6 luglio 2011 a pagina 14 (il pezzo si trova anche nella versione on-line) è perentorio e non lascia margine ai dubbi: “Siria, ordine di sparare su chi filma”. Il sottotitolo conferma: “Ragazzo riprende un cecchino: la sua morte trasmessa su Youtube”. La versione on-line, grazie alle multimedialità, consente di riprendere il video e caricarlo sul canale del CorriereTv, con titolazioni altrettanto forti: “La morte in diretta – Video choc”. Peccato che il video puzzi di tarocco lontano un miglio. L’articolista del «Corriere della Sera», corrispondente da Gerusalemme, ammette, bontà sua, che «nessuno può dire che il video sia autentico». E, tuttavia, aldilà di questo, dismette ogni traccia di senso critico che un qualunque giornalista dovrebbe mantenere, ammesso che desideri pubblicare notizie.
E, infatti, così il video viene raccontato: «Diversi indizi fanno pensare sia stato girato da un tetto di Homs». Quali indizi specifici? il giornalista se ne sta sul generico. «Si vedono case, balconi, antenne paraboliche. Di colpo, un soldato proprio nel palazzo di fronte. Il cameraman se ne accorge, scappa. Si sentono degli spari. Poi si rivede il soldato. Che mira sull’obiettivo e lo centra. Il cellulare che cade per terra. Urla, pianti, richieste d’aiuto. Una morte in diretta».
Ora guardate voi stessi il video direttamente su YouTube, e dite se vedete le stesse immagini raccontate da Francesco Battistini.
Ora vi raccontiamo le immagini così come le vediamo noi e, crediamo, le vedrebbe chiunque. Immagini mosse girate con una videocamera da un tetto, o balcone, di una città, forse mediterranea, forse araba. In sottofondo si odono clamori di una manifestazione e spari. Il videoamatore tuttavia, riprende tetti, muri e pezzi di cielo in maniera completamente confusa, senza riuscire ad inquadrare uno straccio di immagine della manifestazione e degli scontri.
Fin quando, nemmeno a farlo apposta, dalla strada sottostante sbuca, per una frazione di secondo, l’immagine del supposto soldato che sembra non aspettare altro che il momento buono per cogliere il nostro eroe. Il soldato non è, come ci si aspetterebbe, in tenuta anti-sommossa, non indossa né casco né berretto, sembra piuttosto vestito di grigioverde come un qualsiasi marmittone che ha appena marcato visita e se ne stia rintanato in fureria a giochicchiare con un fuciletto caricato a piombini. Ma con incredibile istinto killer punta il videoamatore e lo fredda. Costui, l’operatore dalla mano più tremolante del mondo, riesce a fare un quasi fermo immagine solo nel momento in cui il cecchino gli punta il fucile contro. Lo sparo. L’eroico videoamatore cade a terra, sicuramente morto, e la camera riprende il vuoto e le voci di persone attorno a lui, angosciate per quanto accaduto.
Così com’è, senza ulteriori dati, a noi sembra di vedere una scena del tutto decontestualizzata, senza riprese degli scontri (il sonoro può essere stato facilmente ripreso altrove e montato su quelle immagini), con la ripresa di un “soldato” che ha un aspetto a dir poco surreale. Non ci meravigliamo se «nessuno può dire che il video sia autentico». Ma per il giornalista del «Corriere» ciò è sufficiente per dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, «la nuova strategia repressiva del regime: sparare dritto su chi filma». Non gli viene il minimo dubbio che dovrebbero essere i cecchini ad appostarsi su tetti e balconi per sparare su chi si trovi in strada o su balconi e tetti più in basso, e non viceversa come accade nel nostro video. Un cecchino che si apposta in strada per sparare ai videoamatori sui tetti? Nemmeno sull’Almanacco di Topolino.
In realtà tutto l’articolo è intriso di un tono virulento anti-regime siriano, citando di seguito una sequela di testimonianze fredde e imparziali: l’esperto israeliano di Siria, il leader dell’opposizione rifugiato a Beirut, l’ex vice-presidente in esilio…
Una chicca: Battistini riporta che nella città di Hama, la città martire in cui gli estremisti salafiti si ribellarono già nel 1982 e la cui insurrezione fu stroncata a suon di cannonate, si sarebbe svolta una oceanica manifestazione con “mezzo milione in piazza” che ha subito chiamato la repressione del regime che ha accerchiato la popolazione con i tank. Secondo il censimento del 2006 Hama contava una popolazione di 477.812 abitanti. La manifestazione deve ben essere stata oceanica…
Ci permettiamo di segnalarvi, tra i tantissimi a disposizione che testimonierebbero sulla Siria casi di cattiva informazione, tratto sempre da Youtube, un servizio della Tv di Stato siriana sulla scoperta di fosse comuni in cui erano sepolti corpi mutilati di uomini appartenenti alle forze di sicurezza e della polizia. La presenza di queste fosse nei pressi di Jiser al Shughur (nel nord del paese, a 10 km dal confine turco) era già stata segnalata dalla polizia grazie alle intercettazioni telefoniche di alcuni membri dei gruppi salafiti, i quali stavano organizzando riprese video per incolpare l’esercito siriano. Ma il luogo esatto è stato infine indicato da uno dei terroristi catturati. Le riprese sono state effettuate alla presenza di 70 esponenti delle varie rappresentanze diplomatiche in Siria, tra i quali anche l’Ambasciatore americano a Damasco, e più di 20 giornalisti dei media arabi ed internazionali. Una di queste fosse conteneva i corpi di 10 agenti delle forze dell’ordine, mutilati con sciabole, altri uccisi con armi da fuoco di grosso calibro e da distanza ravvicinata, come ha affermato il medico legale. Avvertiamo i lettori che alcune immagini possono risultare piuttosto crude, in particolare dal minuto 1’30 in poi.
Avete visto titoloni riferiti a questo video sui giornali italiani? Lo avete per caso visto trasmesso dai telegiornali nostrani? Non erano queste, forse, immagini altrettanto e più scioccanti per documentare quanto avviene in queste settimane e mesi in Siria?
Perché mai un video anonimo e palesemente artefatto caricato su Youtube dovrebbe essere più attendibile, dovrebbe essere più notizia, rispetto a un servizio giornalistico della televisione di stato siriana?
Immaginiamo l’obiezione di molti: quella è una televisione di un regime monopartitico, e quindi dev’essere per forza falsa. Nessuno però, né in Occidente né nelle tv satellitari arabe, può dare lezioni di correttezza. È già accaduto, per esempio, che una manifestazione – questa sì oceanica – abbia invaso Damasco a sostegno del presidente Assad, ma che sia stata riferita dai tg di mezzo mondo – a partire dai canali via satellite in lingua araba – come l’esatto contrario, ossia come un raduno di oppositori del regime. Una falsificazione smaccata che pochissimi hanno avuto l’onestà di correggere. Sul caso Siria si sta già accumulando un’impressionate campionario di falsità con gli stessi cliché già visti per scatenare la guerra alla Libia.
Ma la casistica va più lontano, e indica un metodo, un sistema di lunga data. Il dittatore amico va trattato con tutti gli onori. Perché lui è un bastardo, ma è il «nostro bastardo». Il dittatore nemico va invece trasformato – meglio dire: ridotto – a un nuovo Hitler. Come raccontarlo? Si deve sceneggiare e produrre una fiction che racconti la malvagità sua e dei suoi soldati, e che la racconti non solo a parole, ma in immagini. Perché puoi «vedere» qualcosa, ma non puoi in nessuna occasione vedere la sua «smentita». La smentita è un pensiero intangibile, tutto teorico, che non ha effetti sui milioni di cavie umane che non leggono. La smentita fa presa solo sull’homo legens, su di te che leggi: a te che appartieni a una specie rara e in pericolo. Per l’homo videns, basta un video confezionato con l’«emotional editing».
Vent’anni fa, la prova della malvagità irachena fu la testimonianza recata dalla quindicenne kuwaitiana Nayrah a Washington davanti alla Commissione Difesa: in un pianto dirotto raccontò che i soldati iracheni svuotavano le incubatrici dei reparti maternità, per fare agonizzare i neonati kuwaitiani sul pavimento freddo.
La testimonianza era totalmente falsa, e la ragazza non era un’infermiera volontaria bensì la figlia dell’ambasciatore kuwaitiano all’ONU. Il copione da lei recitato era stato fabbricato da una società di pubbliche relazioni “estreme”, la “Hill & Knowlton”. La premiata ditta Hill & Knowlton confezionò anche un altro falso che servì a piegare la volontà collettiva in favore della guerra, ossia il presunto video girato proprio il giorno dell’invasione irachena da alcuni turisti tedeschi a Kuwait City, un filmato in bianco e nero e con riprese tremolanti che facevano tanto “autentico”. Nell’agosto 1990 le tv di tutto il mondo, passati diversi giorni senza che ci fossero ancora immagini dell’ingresso dell’esercito di Saddam in Kuwait, mostrarono le prime scene dei tank iracheni che avanzavano nelle strade desolate, qualche sparatoria, nonché alcuni esponenti della resistenza che scrivevano sui muri, in comodo inglese, “Free Kuwait”.
La Hill & Knowlton, che aveva girato le scene interamente a Hollywood, negli anni a seguire inserì quel video tra le sue più solide referenze, adatte a spingere all’acquisto i suoi specialissimi clienti.
La fabbrica del falso sta lavorando a pieno ritmo, in questo 2011. Ogni tanto qualche pezzo del mosaico viene smontato, come la falsa blogger lesbica siriano-americana Amina Arraf, «rapita a Damasco da uomini armati del regime siriano». O come il caso del falso attivista gay, anche qui, l’indignatissimo gay statunitense Marc, il quale racconta su YouTube di aver fatto richiesta di partecipazione alla Freedom Flotilla, ricevendo in cambio un no con la giustificazione che il gruppo di omosessuali di cui fa parte non corrisponde agli interessi della Flotilla. Marc chiude la sua performance in video sostenendo di aver compreso che il vero motivo che avrebbe portato a escluderlo è il “forte legame” fra gli attivisti della Flotilla e Hamas, che – si sa – non gradisce gli omosessuali. Naturalmente “Marc” è un personaggio falso come una banconota da 17 euro, perché in realtà è un imprenditore israeliano, esperto di marketing e pubbliche relazioni, che risponde al nome di Omer Gershon e carica i suoi video da siti governativi.
Ora, per due falsi che si scoprono, ce ne sono decine che viaggiano invece indenni dalle agenzie di pubbliche relazioni che li concepiscono fino al pubblico-bersaglio, trovando in mezzo solo giornalisti passacarte. Come definire altrimenti un giornalismo che ammette che «nessuno può dire che il video sia autentico», (ovvero non hanno uno straccio di fonte) per poi dire perfino nel titolo che c’è «l’ordine di sparare su chi filma»?
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