Virginia Raggi contro il ceto politico-affaristico criminale

di Pino Cabras.

C’erano pochi dubbi sulla causa principale delle difficoltà che ha dovuto affrontare la sindaca di Roma Virginia Raggi nei suoi primi mesi alla guida dell’Urbe: non le carenze pur notevoli della classe dirigente che lei ha portato al Campidoglio, ma i difetti della classe dirigente contro cui fa fronte, un ceto affaristico-politico criminale fra i più avidi del pianeta, al potere da generazioni. Dire no alle Olimpiadi a Roma è, semplicemente, dire no a un potere sfrenato e finora senza contrappesi che ormai ha un unico progetto: arraffare.
 
Guardiamoci negli occhi senza dar retta alla solita retorica vuota con cui quel potere vuole fregarci: il rimpianto delle occasioni perdute, le glorie di una vetrina planetaria, i soldi che daranno un’anima a mille betoniere e mille gru, il PIL futuro, il soffio vitale delle Grandi Opere. O addirittura lo spirito olimpico in persona.
 
Andiamo sul concreto, invece, e valutiamo bene tutti i disastrosi precedenti, così guardiamo soprattutto negli occhi degli imprenditori tipici di queste opere e negli occhi dei politicanti e giornalisti corrotti che li accompagnano. Tutti questi personaggi dovrebbero trovare, chissà dove, le qualità per elevarsi sopra quei precedenti. Tuttavia, né i precedenti italiani né quelli di altri paesi offrono alcun appiglio. Abbiamo a che fare con gente che non è in grado di elevarsi sopra alcunché. Quei precedenti li tengono giù per terra: non c’è “Grande Opera” degli ultimi trent’anni in Italia – fra quelle che hanno sfruttato qualche circostanza “eccezionale” e richiamato miliardi in deroga a procedure ordinarie – che non abbia prodotto più debiti e più tangenti, con ben pochi benefici per i cittadini e molta sofferenza per le casse pubbliche.
Nel mondo, non si trovano casi di Olimpiadi – tranne poche peculiari eccezioni, non certo ripetibili nell’Italia di oggi – che negli ultimi decenni non abbiano inflitto colpi terribili al bilancio delle città interessate. Quando il sacrificio economico alla fine riusciva a non contare, era perché dietro c’era anche un progetto politico vero. La voragine di quaranta miliardi di dollari di Pechino, ad esempio, serviva a far dire ai cinesi: “ciao mondo, eccoci qui, siamo quasi la prima potenza, abbiamo un sacco di cose da raccontarci!”
Cos’avrebbe avuto invece da raccontare al mondo la Roma del “generone” del XXI secolo, una volta fatto l’ennesimo buco miliardario?
Cos’avrebbe garantito nella gestione del denaro pubblico una classe dirigente nazionale che non sa sfruttare nemmeno i miliardi dei fondi europei?
A cosa sarebbero state sottratte queste risorse? Qualcuno dimentica che l’Italia non batte moneta, ma prende a prestito una moneta “straniera” che le costa tanto e la porta a tagliare via via le spese sociali. Da quando c’è l’euro, le Olimpiadi estive si sono tenute una sola volta nell’eurozona: in Grecia. Dobbiamo aggiungere altro?
Facciamola breve. Nelle condizioni attuali delle classi dirigenti italiane, fare il processo alle intenzioni è puro realismo: quelli che volevano imporre le Olimpiadi le avrebbero usate per un’immonda mangiatoia, avrebbero ridotto il comune di Roma a un rimorchio trainato dalle scelte dei palazzinari, senza che gli amministratori eletti potessero decidere le alchimie e le aree da trasmutare da ruggine a oro zecchino.
Sul corpo dell’eterna capitale corrotta, dell’eterna nazione infetta, avrebbe avuto inoltre buon gioco ad adagiarsi una delle organizzazioni più purulente del capitalismo planetario, il movimento olimpico attuale. Per inerzia si pensa ancora a De Coubertin. Realismo vorrebbe che per descriverlo si ripassasse invece l’abc del giornalismo antimafia.
Tutto questo non significa per forza “ordinaria amministrazione”. Sono emerse persino proposte molto immaginifiche per progettare un’Olimpiade più sobria, più popolare, da finanziare con una moneta complementare, come ha proposto Nino Galloni. Per quanto detto fin qui, è tuttavia irrealistico usarla nel caso delle Olimpiadi (in mano a poteri che non hanno di questi programmi), mentre la misura di una moneta complementare avrebbe molte applicazioni per fare opere utili, piccole e diffuse. Pensiamoci, non solo per Roma.

 

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