E quelli della MMT dicono: «con l’Euro si potrebbe…»

di Pino Cabras e Piotr (Пётр) – da Megachip.  

 

Con
l’Euro e senza default. Per Warren Mosler, uno degli economisti più
citati da Paolo Barnard e altri neomilitanti modern-monetaristi, c’è un
uovo di Colombo che può azzerare lo spread senza per forza abbandonare l’Euro né tanto meno l’Unione Europea. È curioso che dal cuore della MMT, la Modern Money Theory
(la teoria economica alternativa da poco propagandata anche in Italia),
cioè proprio dal Levy Institute, arrivi un’idea insieme rivoluzionaria e
conservatrice sul debito e sull’euro, che va in un verso opposto a
quello reclamato da una parte dei neofiti che hanno riscoperto la MMT.

Abbiamo qui
tradotto il breve e brillante saggio di Mosler (e di Philip Pilkington)
per poi condividere con i lettori alcune riflessioni, che lasciamo in
coda all’articolo.

Titoli di Stato garantiti dalle imposte: una soluzione nazionale alla crisi europea del debito.  
 

di Philip Pilkington e Warren Mosler[1] – levyinstitute.org.

Lo scopo di questo
articolo consiste nell’offrire una breve introduzione a un nuovo
approccio nei confronti della crisi europea del debito in espansione: i
Titoli di Stato garantiti dalle imposte. I Titoli di Stato garantiti dalle imposte sarebbero simili ai bond
statali ordinari tranne per il fatto che essi conterrebbero una
clausola che dichiara che se il paese che emette i titoli non effettua i
suoi pagamenti – e soltanto se il paese non effettua i suoi pagamenti
– i Titoli di Stato garantiti dalle tasse sarebbero accettabili per
effettuare i pagamenti delle imposte all’interno del paese in questione,
e continuerebbero a guadagnare interessi.

Il contesto.

Il problema chiave
affrontato dall’Europa consiste nella sua crisi dei debiti sovrani. La
crisi ha causato enormi danni all’Europa, sia dal punto di vista
politico, sia da quello sociale ed economico. Come hanno dimostrato
recenti sondaggi, la fiducia nell’Unione Europea e nelle sue istituzioni
ha raggiunto il suo livello più basso, con molti cittadini che mettono
in discussione la direzione che sta prendendo il progetto europeo. Le questioni chiave sollevate da entrambi i lati della discussione sono quelle della sovranità de della responsabilità.
Le popolazioni dei
paesi europei più benestanti sostengono che i paesi periferici in
difficoltà devono prendersi le loro responsabilità per i loro carichi
debitori e smetterla con l’affidarsi ai salvataggi da parte dell’Europa
nel suo insieme.
Nel frattempo, i
cittadini nella periferia sono via via sempre più angosciati dalla
perdita della sovranità fiscale che deriva dai salvataggi e dalle
conseguenti misure di austerità. In casi più estremi, questo si è
manifestato in forma di appelli ai paesi affinché uscissero dalla moneta
unica, un’azione che sarebbe catastrofica per il progetto europeo nel
suo insieme. La soluzione ideale soddisferebbe entrambe le parti.
Una tale soluzione
consentirebbe ai singoli paesi di mantenere la propria sovranità e
tornare ai mercati in modo da non doversi più affidare sul resto
dell’Europa per i salvataggi. Allo stesso tempo, dobbiamo assicurare che
la moneta unica rimanga intatta. Di seguito, introduciamo
un’innovazione finanziaria che fornirebbe tale soluzione.

Causa dell’attuale crisi.
 
La radice della crisi del debito può essere ricondotta al fatto che gli investitori sono attualmente preoccupati dal debito pubblico dei paesi della periferia della zona euro. Sono preoccupati del fatto che questi paesi potrebbero andare in default e che gli investitori perderebbero di conseguenza il loro denaro.
Questo fa sì che gli investitori chiedano un maggiore “rendimento”, o tasso di interesse, su tali titoli di Stato. Ma quando i tassi di interesse salgono troppo in alto, il paese in questione soffre sotto il peso dei pagamenti di pesanti interessi, il che può spingere quel paese verso una situazione tale da renderlo non in grado di rimborsare i suoi creditori. In tal caso, il paese debitore può poi chiedere ai suoi vicini di eseguire un salvataggio, sia tramite un fondo costituito appositamente per tale salvataggio, sia richiedendo che la banca centrale acquisti un po’ del suo debito sul mercato secondario.
Entrambi gli scenari di cui sopra si sono già verificati e hanno causato tensioni e conflitti in tutta Europa. Vogliamo richiamare l’attenzione sul fatto che i paesi membri non sono emittenti di euro, e che i paesi che emettono moneta propria non hanno di questi problemi. Il Giappone – il cui rapporto debito-PIL è il più alto del mondo sviluppato oltrepassando il 220 per cento, ma i cui pagamenti degli interessi su quel debito sono tra i più bassi al mondo (1,04 per cento sui titoli a 10 anni, al momento della scrittura del presente articolo) – offre in proposito un buon esempio.
Come hanno notato figure di rilievo del calibro di Alan Greenspan e Paul Krugman, la ragione per cui i paesi che emettono la propria valuta hanno i costi del servizio del debito così bassi sta nel fatto che questi paesi possono sempre effettuare i rimborsi del debito. Possono sempre creare denaro per far fronte agli obblighi contrattuali.
E il fatto che essi abbiano questa opzione a portata di mano consente che i loro rendimenti obbligazionari rimangano bassi anche quando il loro indebitamento raggiunge livelli relativamente elevati. Il problema, naturalmente, è che se uno qualsiasi dei paesi periferici volesse emettere la propria moneta dovrebbe uscire dall’euro, un’opzione politica per la quale non vi è alcun sostegno politico.

Gli elementi chiave del approccio sui Titoli di Stato garantiti dalle imposte.

 
Quel che cercano gli investitori è la garanzia di essere rimborsati. Nei mercati, questa è denominata “solvibilità”. Gli investitori cercano beni sicuri che ritengono siano una “moneta buona”. Pertanto, quel che dobbiamo fare è dare al debito periferico un elevato grado di sicurezza e contemporaneamente (1) permettere ai paesi periferici di rimanere utenti dell’euro e (2) garantire che la Banca centrale europea non abbia bisogno di intervenire come prestatore di ultima istanza. Proponiamo che una semplice soluzione a questo problema sia quella di fare in modo che i paesi periferici inizino l’emissione di un nuovo tipo di debito pubblico. Definiamo questo tipo di debito “Titoli di Stato garantiti dalle imposte”. I Titoli di Stato garantiti dalle imposte sarebbero simili ai titoli di Stato attuali, tranne che per il fatto che essi prevedono una clausola che stabilisce che se il paese non riuscisse a effettuare i versamenti alla scadenza – e solo se questo accade – i titoli garantiti dalle imposte sarebbero accettabili per effettuare i pagamenti delle imposte all’interno del paese in questione.

Come funzionerebbe il Titolo di Stato garantito dalle imposte.

 
Se un investitore detiene un titolo di Stato irlandese, ad esempio, per un valore di 1.000 euro e il governo irlandese salta un pagamento degli interessi o della quota capitale, l’investitore può semplicemente utilizzare il titolo di Stato per effettuare versamenti fiscali al governo irlandese per un importo di 1.000 euro. Se l’investitore è un detentore straniero del debito e il governo salta un pagamento, può semplicemente vendere l’insolvenza sul debito a una banca irlandese (magari con un piccolo sconto, diciamo, di 5 euro) la quale potrebbe quindi utilizzare i titoli per pagare le imposte dei suoi clienti in cambio dei loro euro. Il punto chiave qui, tuttavia, è che dal momento che questa garanzia fiscale costituirebbe un minimo assoluto al di sotto del quale il valore del bene non potrebbe cadere, e poiché i bond pagano un tasso di interesse equo, non ci sarebbe alcun rischio di perdita reale e nessun motivo per liberarsene: e, pertanto, i titoli di Stato non sarebbero mai usati per rimborsare le tasse. Il Titolo di Stato garantito dalle imposte assicura gli investitori sul fatto che il bond è sempre una “mometa buona”, non importa quali siano le circostanze.
Ciò porterebbe a minori tassi di interesse sui titoli, e questo, a sua volta, garantirebbe che i paesi periferici non sarebbero sospinti fino al default. È stata sollevata la questione, dagli economisti e dai gestori di denaro, sul motivo per cui un governo inadempiente non potrebbe semplicemente rifiutare di accettare i titoli insoluti nel pagamento delle imposte. Perché ciò avvenga, però, qualcuno dovrebbe tentare di utilizzare i suoi titoli per il pagamento delle imposte e il governo dovrebbe sostenere che nessun pagamento è stato effettuato e perseguire tale contribuente per la mancata corresponsione delle imposte. Per garantire che ciò non avvenga, ci battiamo affinché le obbligazioni siano scritte in conformità al diritto (internazionale) del Regno Unito.
Ciò significherebbe che il governo non avrebbe alcuna legittimazione ad agire per dar seguito a una tale pretesa. I
rendimenti dei nuovi titoli saranno quindi stabiliti dai mercati. Noi
contiamo sul fatto che questi rendimenti rifletterebbero il basso
rischio associato ai nuovi titoli e sarebbero molto al di sotto dei
rendimenti attualmente richiesti dai mercati. (Consigliamo di emettere i
titoli con un tasso di interesse fissato al tasso Euribor più 3 per cento su una base fluttuante, e lasciando poi che il mercato regoli il prezzo a partire da lì.)


Conclusioni

 
Noi sosteniamo che questa sia la soluzione più pulita e più efficiente per la nostra attuale crisi del debito. Eppure è una soluzione che ha ricevuto solo una minima attenzione mediatica o politica. Il nostro piano sui titoli di Stato garantiti dalle tasse potrebbe fornire la via d’ingresso a un nuovo approccio al debito sovrano in Europa, quello in cui il desiderio di sovranità viene equilibrato dalla necessità per i paesi di assumersi la responsabilità delle proprie azioni e non consegnarsi al soccorso altrui.

Riflessioni sull’articolo a cura di Pino Cabras e Piotr (Пётр)
Possiamo
star certi che il breve articolo di Philip Pilkington e Warren Mosler
che avete appena letto farà parlare di sé, anche in Italia, soprattutto
in Italia, il paese più grosso di quella «periferia» della zona euro
richiamata insistentemente nel saggio. In Italia c’è infatti il governo
Monti-Napolitano, cioè l’esperimento politico più massiccio oggi in atto
in Occidente fra quelli che vogliono prescriverci un modello unico di
economia, sorretto da un’ideologia disperata e feroce basata sulla TINA (There Is No Alternative).
Solo
con un enorme forzatura antidemocratica, che non può ammettere
alternative, questo governo potrà tenere insieme le contraddizioni di un
Paese che ha i vizi di sempre ma non la forza di un tempo.
Siamo
la periferia del neomercantilismo tedesco, siamo la provincia militare e
finanziaria dell’atlantismo, e siamo il campo delle scorribande per un
ceto affaristico-politico criminale autoctono, fra i più insaziabili del
pianeta.
Monti
e Napolitano rinserrano le classi dirigenti intorno alla mancanza di
alternative, con la determinazione impassibile di chi è disposto a far
pagare al popolo l’intero prezzo di una catastrofe sociale. È un
progetto politico che ha come unica stella polare il prelievo
parassitario – concentrato in una sola generazione e in un brevissimo
tempo geologico – di valori accumulati da tante generazioni. Un’assoluta
emergenza.
È
di fronte a una simile macchina del potere che ci spieghiamo il fiorire
di una ricerca di modelli economici e politici diversi, che
all’emergenza rispondono con la mobilitazione, l’esplorazione di strade
inconsuete, e anche con la semplificazione, fino in certi casi a opporre alla TINA una loro TINA.
In
queste circostanze non buttiamo via nulla ma non abbracciamo nessun
salvatore. Questo perché non ci sono salvatori ma non ci sono idee da
sprecare.
La
MMT ad esempio, è la versione attuale di teorie che a lungo hanno avuto
cittadinanza, prima che passasse lo schiacciasassi della teoria
economica oggi dominante. Ma va vista laicamente. Se un’espressione
religiosa dobbiamo usare, allora recitiamo “niente di nuovo sotto il
sole”: perché basta togliere la polvere da un vecchio libro di un
keynesiano italiano, Augusto Graziani, La teoria del circuito monetario, per rivedere tutti i presupposti di una teoria “moderna”.
La
MMT è ora una teoria utilizzata ampiamente da un’area di opposizione
che sostiene la necessità di fare una battaglia politica per uscire
dall’Euro e azzerare l’Unione Europea. Come dimostra in modo clamoroso
l’articolo sopra riportato, firmato proprio uno dei più eminenti
fondatori della MMT, lo stesso impianto concettuale si presta a una
battaglia totalmente diversa, che non prevede né la fine dell’euro né del progetto europeo.
Cosa significa tutto questo? Che lezione dovremmo trarne? Quale parola prevale sulle altre?
La parola è Politica. È la porta giusta da attraversare per comprendere l’origine della crisi e i possibili sbocchi.
Ogni
tentativo di fuoriuscire dal pensiero unico è benvenuto. E anche la
MMT, perfino nelle sue divulgazioni fra loro opposte, è un approccio
interessante.
Ma
bisogna inquadrare le soluzioni tecniche nel loro contesto politico
nazionale e internazionale. Altrimenti rimangono tecnicismi che, da
soli, non possono incidere nella realtà.
Molti partono da un assunto di fondo ingenuo e sbagliatissimo:
che alla FED, alla BCE o a Bankitalia queste cose non si conoscano.
Ribaltiamo invece l’assunto: tutte queste cose i veri decisori, cioè
quelli non fanno solo parte del teatrino della politica ma dei ponti di
comando che contano, le sanno eccome. E allora perché fanno tutt’altro?
Ecco cosa scriveva Federico Caffé in una conferenza del 1971 pubblicata nel 1973 col titolo “Di una economia di mercato compatibile con la socializzazione delle sovrastrutture finanziarie”:
«Da
tempo sono convinto che la sovrastruttura finanziario-borsistica, con
le caratteristiche che presenta nei paesi capitalisticamente avanzati,
favorisca non già il vigore competitivo, ma un gioco spregiudicato di
tipo predatorio che opera sistematicamente a danno di categorie
innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori, in un quadro istituzionale
che, di fatto, consente e legittima la ricorrente decurtazione o il
pratico spossessamento dei loro peculi.
»
Attenzione
alle date: il 1971 è l’anno in cui Nixon dichiara che la moneta
internazionale, il dollaro, non ha più nessun riferimento con l’oro.
Siamo cioè nell’anno dell’evento spia della presente crisi sistemica,
ovvero al momento di snodo tra il precedente ventennio keynesiano e la successiva lunga fase di tentativi di aggiramento della sua crisi. Questi tentativi si assesteranno, per modo di dire, nel monetarismo e nel neo-liberismo che quella crisi non faranno altro che aggravare, approfondire e allargare.
Ci
troviamo cioè proprio laddove le nuove teorie della crisi non vogliono
quasi mai scavare fino in fondo, perché altrimenti si capirebbe che le
loro spiegazioni sono in realtà delle brillanti descrizioni e che le loro soluzioni nuove sono in realtà un “passato che avanza”.
Ed ecco come concludeva quella conferenza Caffè:
«Nelle
condizioni odierne di estesa concentrazione del potere economico e
finanziario, esso è strumento di vigore competitivo e di allocazione
efficiente di capitale monetario; bensì strumento di un complesso
intreccio di manovre e strategie, prive di ogni connessione con la
logica di una economia di mercato e rese possibili dalle deformazioni
che essa ha subito con l’affermarsi di una configurazione storica del
capitalismo, ormai anacronistica
».
Il linguaggio era quello di un economista riformatore e non certo rivoluzionario. Ma Federico Caffè aveva capito che la finanziarizzazione era una nuova fase dell’intimo, seppur contraddittorio, connubio tra economia e politica.

La finanziarizzazione era una strategia di potere, non un modello economico sbagliato.
Vengono prese dunque decisioni politiche, ma ad esse chi cerca una soluzione al disastro contrappone contromisure tecniche, di fatto considerando quelle decisioni politiche degli errori di economia politica.
Pensa
dunque di avere una soluzione innovativa mentre invece avanza
un’ipotesi sicuramente già scrutinata e scartata dai decisori o meglio
da chi, tra i decisori, prevale.
Mario
Draghi (proprio quello che dice: «il modello sociale europeo è oggi
superato») è stato un brillante allievo di Federico Caffè. Pensate
proprio che non si ricordi delle lezioni del suo maestro? Forse è
persino convinto di rielaborarle creativamente, chi lo sa?
La prima domanda da porsi allora è: «Perché l’ipotesi è stata scartata?». La seconda, connessa alla prima, è: «Perché è prevalso quel decisore e non quell’altro?».
Ovviamente
bisogna poi stare attenti a non rispondere con ingenuità come
«l’ingordigia dei banchieri». Questa ingordigia c’è, naturalmente, ma è
parte di un meccanismo conflittuale che agli stessi attori della
finanziarizzazione si presenta come “oggettivo”, nel medesimo modo in
cui è oggettivo il mondo delle cose. Il loro mestiere e la loro
possibilità di rimanere attori sulla scena è la valorizzazione
all’infinito del capitale. Quel che non vi rientra è pura esternalità
da scaricare sull’ambiente, sulle società e sul futuro di tutti. E loro
si comportano così per gli stessi motivi per cui il baco fa la seta: è
il loro modo di esistere e di proteggersi nel mondo.
Un’altra
delle teorie emergenti è quella di chi propone come soluzione della
crisi l’uscita collettiva dei PIIGS – che poi ricalca l’idea di Luciano
Vasapollo di una «ALBA
mediterranea». Anche questa proposta entra nel bagaglio teorico di chi
spinge per far uscire l’Italia dall’euro. Ma anch’essa, pur molto
interessante, non ci dice quali sono le pre-condizioni e le
post-condizioni politiche della sua attuazione, benché si capisca, però
più per induzione, che la versione di Vasapollo in verità non sia
totalmente sguarnita in tal senso.
Tutte
queste proposte sono da valutare seriamente, ma sollevano perplessità,
che non riguardano il lato tecnico in sé, ma proprio il fatto che quello
sia il lato più evidenziato, cioè che non siano descritte assieme al
complesso di condizioni politiche nazionali e internazionali che le
devono accompagnare.
L’approccio contro-monetarista non affronta la “doppia trappola” tedesca-anglosassone. Per esso c’è un trappolone unico,
ovvero c’è un nemico unico e un meccanismo coerente a cui contrapporsi.
Non è per nulla così: se c’è una cosa che manca ai nostri avversari è
la coerenza, sono tutti in preda a contraddizioni e a conflitti. Anche
laddove sembra che ci sia una macchina compatta, come nel caso del
governo Monti-Napolitano, in realtà vediamo il punto di convergenza di
tendenze stridenti e difficilissime da conciliare, se non con equilibri
distruttivi. E qui sta il pericolo estremo, certo.
Più in generale,
le classi dirigenti occidentali sono attraversate da visioni e catene
d’interessi conflittuali, che possono essere tenute insieme con ben
altro che la moneta, ad esempio militarmente. Perciò non ci fidiamo della solidità di chi ci parla di euro ma non delle guerre atlantiste.
E poi, di
cos’altro non parlano gli economisti, anche gli economisti amici? Non
dicono mai, ad esempio, perché quella che propongono sarebbe da
considerare una soluzione. Lasciano implicito – ma a volte lo dicono
esplicitamente – che lo sarebbe perché permetterebbe il caro e rimpianto
rilancio keynesiano dell’economia. Come mai ne sono così sicuri? Per
loro è così perché lo dice la teoria economica della “domanda aggregata”
e l’esperienza del ventennio d’oro del dopoguerra (da noi passato alla storia come il “boom economico”).
Le due cose non
possono essere disgiunte: ogni ipotesi di economia politica ha la sua
conferma solo dall’applicazione. E l’applicazione del keynesismo è
relegata al ventennio seguito alle distruzioni, economiche e belliche,
della precedente crisi sistemica.
Detto in altri termini, si vorrebbero
applicare le ricette che ebbero successo all’inizio del ciclo sistemico
statunitense adesso che siamo al tramonto di questo ciclo e all’inizio
di una fase di transizione inedita, che va in direzione non di un nuovo ciclo ma di qualcosa del tutto nuovo da governare.

E poi, si fa
presto a dire euro. Di che euro stiamo parlando? Di quello di un anno
fa? Di quello di oggi? Di quello che i signori decisori prospettano per
domani? La nostra perplessità non nasce certo da un amore per una schifezza monetaristica sub imperiale e disfunzionale, come quella che ci sovrasta. Il
punto è proprio che non amiamo le soluzioni uguali e contrarie,
semplicemente perché le riteniamo, per i motivi spiegati,
pseudo-soluzioni, soluzioni che del connubio che caratterizza il
capitalismo, economia e politica, vedono solo una metà.
La
plausibilità di qualsiasi soluzione deve essere valutata col metro
politico. E in questo rientra anche la valutazione della sua
“praticabilità di massa” – ovvero una proposta incomprensibile potrebbe
essere adottata solo da un partito iper-giacobino, una merce mai venduta
nella piazza italica.
Esistono
analisi eccellenti della finanziarizzazione, ma tutte (con pochissime
eccezioni, come quelle ad esempio di Giovanni Arrighi che nel 1994 aveva
previsto le crisi finanziarie e le guerre di oggi) si fermano sulla
soglia delle sue ragioni profonde, del perché ci sia. A questo punto è più sensata la spiegazione marxista classica: la caduta tendenziale del saggio di profitto.
Almeno cerca di dare una spiegazione interna ai meccanismi di
accumulazione. È una spiegazione molto parziale, ma se non altro vuole
andare a fondo delle cose.
Per finire:
dialoghiamo con tutti, cerchiamo di ricevere l’apporto delle menti
migliori, ma non innamoriamoci dell’ultimo tecnico con sensibilità
sociale (che non vuol dire politica) che incontriamo.

[1] Philip Pilkington è un giornalista e scrittore che vive a Dublino. Warren Mosler è consigliere economico senior del presidente del Senato delle Isole Vergini statunitensi e primario fondatore della Modern Monetary Theory
(teoria monetaria moderna). Il Levy Economics Institute ha pubblicato
questa ricerca con la convinzione che si tratti di un contributo
costruttivo e positivo alla discussione su questioni politiche
rilevanti. Né il Consiglio di amministrazione dell’Istituto né i suoi
consulenti necessariamente approvano ogni proposta formulata
dall’autore.

Copyright © 2012 Levy Economics Institute of Bard College ISSN 2166-028X

1 Commento

  1. Sandro Pascucci 02/04/2012 at 14:10

    [>]

    MMT, ovvero la bufala della Modern Money Theory del signor rossi:
    (perché così si chiama, non Barnard – altrimenti sarebbe un falso il conto corrente aperto presso la Unicredit, azionista di Bankitalia S.p.A., eh!)

    MMT.PRIMIT.IT

    [^]

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