Dopo il secolo breve dell’Autonomia, che ne sarà della Sardegna?

Mancano pochi giorni alla chiusura delle liste che aprirà pienamente la campagna delle elezioni regionali della Sardegna. Lo scorso 11 agosto, all’indomani della morte di Michela Murgia (che 10 anni fa non entrò in consiglio regionale nonostante avesse preso più del 10 per cento dei voti) ho lanciato la proposta di riformare questa legge elettorale infame, magari dando alla nuova normativa il nome di Legge Murgia. Lo intendevo quasi come un risarcimento del danno che fu inflitto non tanto a lei, quanto all’intera democrazia dell’isola. Ossia un sistema politico rimasto incapace di riformarsi, in mano a un’oligarchia partitica in crisi, sistematicamente pronta a demolire qualsiasi apporto di idee nuove.
La proposta è caduta nel vuoto. È stato come urlare in una stanza senza eco, progettata per assorbire completamente le onde sonore o elettromagnetiche. Idem è successo ad altri che hanno lanciato proposte simili. La legge è rimasta invariata.
Vuol dire che ai capi dei partiti sta bene un sistema in cui la maggioranza dei cittadini perde perfino interesse a votare. L’effetto è che chi governa non ha più alcun canale per collegarsi agli interessi di grandi masse che restano tagliate fuori. Se non hai più connessione con i bisogni, i sentimenti, le preoccupazioni, i problemi materiali della maggior parte dei cittadini che non votano nemmeno, allora prendi decisioni che servono a pochi soggetti che semplicemente non sono la comunità: perciò sbagli in modo inevitabile, stai dentro un sistema che “sbaglia strutturalmente” e alla fine snatura lo scopo per cui è stato costruito.
La Sardegna da tempo subisce un’insidiosa mescolanza di decadimento, stallo e rapido deterioramento dei servizi pubblici fondamentali, insieme a una grave crisi culturale, all’erosione della lingua e alla perdita di una chiara “missione” della Sardegna nel contesto della rinnovata divisione internazionale del lavoro. Questo scenario si svolge in un quadro geopolitico che accentua la messa da parte di questa comunità umana, portando a un impoverimento e spopolamento accelerato dell’isola. Il “secolo breve” dell’Autonomia è un limone spremuto. Quale missione pensiamo per la Sardegna nel mondo?
Il sistema dei partiti in Sardegna si ripresenta dunque per la terza volta con un metodo di elezione che crea ostacoli immensi agli “outsider”. Il risultato è che si formano aggregazioni estremamente contradditorie, innaturali, in certi casi spettacolarmente incoerenti.
Il centrodestra rinuncerà al presidente uscente Christian Solinas, la cui presidenza è stata il suggello finale della parabola discendente dell’autonomia regionale della Sardegna. Il suo mandato è l’espressione di un intero sistema colpito dalla crisi come un pugile in difesa passiva in balia dei pugni del mondo. Solinas è il più impopolare dei presidenti di regione di tutta la Repubblica, ma lo è in quanto è il parafulmine della fine del “secolo breve” dell’Autonomia. Un altro presidente al posto suo – se avesse agito come lui, a ridosso della palude dei potentati locali – avrebbe fatto le stesse cose e sarebbe stato il parafulmine nella medesima misura o quasi. Il suo schieramento lo sostituirà dunque con il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, che – pur avendo amministrato senza slanci e pur avendo aperto cantieri con il passo di una lumaca svogliata, senza chiuderli – appare meno logorato. Il resto rimane uguale alla mesta squadra che ha governato per cinque anni. Pura conservazione del declino, sotto l’alta protezione di Giorgia Meloni, specialista in finte sovranità.
Il centrosinistra si presenta nella veste inedita che unisce PD e M5S a una miriade di liste che sosterranno la pentastellata Alessandra Todde. La candidata rompe con gli stereotipi che hanno accompagnato l’immagine attribuita ai cinquestelle senza ‘background’: ben al contrario, ha un retroterra di esperienze personali alla guida di imprese a livello internazionale e di strutture ministeriali. Sarà tuttavia a capo di una coalizione di partiti che hanno avuto gravi responsabilità nel deperimento sempre più vorticoso dei servizi pubblici essenziali, quando hanno avuto anche loro le redini della macchina regionale. Ha insomma dietro di sé un ceto politico che si ripropone in modo stanco come l’intermediario delle risorse europee, in una rincorsa di tardivi adattamenti a standard irraggiungibili. Servirebbe una visione per una Sardegna non dipendente, senza accontentarsi della mitologia del PNRR (che sta tutto dentro il perimetro “austeritario” della dittatura dello spread). Il M5S ha persino fatto un accordo elettorale con una formazione di ispirazione indipendentista (A Innantis) che mette nella pietanza l’allusione a una Sardegna non dipendente. Finché rimangono solo allusioni, manca un nuovo piatto, mentre il sapore e la sostanza sono dati dal resto. Todde dispone di un breve conto alla rovescia per mostrare una visione sul futuro della Sardegna, ma ho l’impressione che non basterà il tempo né l’attuale orientamento della classe dirigente.
Sempre in area centrosinistra c’è Renato Soru, che fu presidente nel 2004-2009. Oggi raccoglie diverse formazioni indipendentiste che hanno una vocazione sociale e socialista, ma deve trattarsi di un lettore troppo appassionato di Mary Shelley, perché nel suo laboratorio le ha assemblate con Più Europa, Azione e Italia Viva, formazioni neoliberiste, “euroinomani” e iper-atlantiste. Soru parla sì di “una visione”, addirittura di una “rivoluzione gentile”, ma con incomprensibili scorciatoie: dichiara di potersi riaggregare all’ultimo minuto al Centrosinistra purché non sia guidato da Todde (quindi il problema è “una candidata”, non “una visione”). Quali sono le sue priorità?
Difficile dunque fare una scelta, anche se non voglio assecondare chi predica l’astensionismo, perché favorisce la tendenza a far decidere sempre meno persone.
Auguro a tutti una buona campagna elettorale. Ricordatevi che la Sardegna è stata marginalizzata dagli equilibri dell’Italia, che l’Italia è marginalizzata rispetto agli equilibri dell’Europa, che l’Europa è marginalizzata a sua volta da nuovi equilibri economici e geopolitici ed è vittima di una guerra mossa dal resto dell’Occidente che la vuole vassalla e senza relazioni convenienti con altri continenti. Cosa ne pensate?
Ditemi dunque: quale sarà la missione della Sardegna nel mondo? Conta solo un programma politico, culturale, economico che risponda in modo convincente a questa domanda.

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