Gigi Riva, il Sardo Sacro

Per nessun’altra persona come Gigi Riva la data del suo compleanno, il 7 novembre, era vissuta da un’intera nazione come un rito spontaneo di massa che si ripeteva e si amplificava ogni anno. Quella nazione è la Sardegna.
Per anni questo omaggio pieno di gratitudine, di affetto autenticamente popolare, aveva un quasi un retrogusto amaro, perché sembrava prendere la forma di un funerale in vita, un’onoranza impaziente che si anticipava per proteggere dall’impermanenza la memoria di un uomo che era riuscito – in un’epoca troppo laica, troppo secolarizzata, troppo disincantata – a vestire il ruolo sacro dell’Eroe dell’intero popolo, dell’intera nazione. Che, come tutte le nazioni vere, comprende non solo chi vi nasce, ma chi vi rinasce. Come capitò a Fabrizio De Andrè, amico di Riva, così simile nell’essere schivo, nell’amare intimamente questa terra e nel ritrovarsi bene fra le sue anime più umili.
Gigi Riva era il sardo sacro, e questo si attaglia perfettamente alle emozioni che passano attraverso uno sport che suscita emozioni collettive, corali. L’urlo di massa di un popolo intero non poteva che retroagire e influenzare profondamente i nostri stessi pensieri e attitudini, attraversando le generazioni: la maggior parte dei sardi viventi non ha mai visto dal vivo o in diretta un goal o un trionfo di Gigi Riva, ma oggi piangono tutti, di cuore.
Mi capitò di dirlo in morte di Maradona, ma vale – eccome – anche per Rombodituono: «Ha voglia l’Occidente a indirizzare tutte le sue energie a smontare il Sacro nel cuore di ogni individuo e in ogni dimensione di massa. Il Sacro ritorna comunque e trova la sua strada nei modi più inattesi e infinitamente umili, per confortare l’eterno sforzo dell’uomo che cerca un significato nel mondo, contro squadroni pronti a distruggerlo. I più freddi dicono che “il calcio è l’oppio dei popoli”, deformando la frase di Marx che diceva che “la religione è l’oppio dei popoli”. Solo che Marx diceva anche che “la religione è il sospiro della creatura oppressa”». Anche Riva è stato dentro il sospiro di tante creature oppresse, «tese a un riscatto popolare immediato e riconoscibile, giocando come un simbolo di possibilità umana intriso di un talento incorrotto».
Questa volta il funerale sarà vero, e farà sentire a tutti i sardi una sensazione forte, la forza di un legame popolare. Custodiamolo bene. 

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