Pasolini, capitalismo, guerra

«Ho una grande tenerezza per Giovanni XXIII, una grande ammirazione per Krusciov, e una certa simpatia per Kennedy. Mentre ho un profondo disprezzo per la borghesia: un disprezzo pratico e ideologico, che mi fa vedere il nostro avvenire molto oscuro. Casi da museo teratologico come quello di Hitler, le nostre borghesie sono capaci in ogni momento, in ogni circostanza, di produrne; perché sono mostruose esse stesse, per aridità, cinismo, ignoranza, qualunquismo, ferocia, miopia. Al vertice, l’orizzonte è abbastanza sereno. Ma al livello medio del capitalismo – o del neocapitalismo – la guerra è un fatto che può sempre accadere. È per questo che, inconsciamente – malgrado la sua assurdità – continuiamo a temerla.
Il sentimento dei privilegi di classe che, sul piano pratico, è terribilmente razionale, sul piano ideologico è sotto il dominio dell’irrazionalità. Perciò non vedo che garanzie possano dare le nostre classi dominanti per la pace. Esse, comunque, tendono a modellare l’uomo secondo la loro forma interna: la mostruosità, come meccanicità, assenza dell’umano. Facciano scoppiare le atomiche o giungano alla completa industrializzazione del mondo, il risultato sarà lo stesso: una guerra in cui l’uomo sarà sconfitto e forse perduto per sempre».

“l’Unità” – intervista a Pasolini dello storico Paolo Spriano (20 aprile 1963)

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