di Pino Cabras – da Megachip.
Che l’Italia debba passare anni terribili è ormai cosa certa. Vi basti l’intervista concessa dal ministro Giulio Tremonti a «la Repubblica» del 4 settembre 2010, che pure – bontà sua – si intitolava “L’emergenza è finita”. In una sorta di manifesto per la politica dei prossimi anni, uno degli esponenti più in vista delle classi dirigenti italiote riesce ad esprimere propositi che quando non sono banali e perciò inutili, sono contradditori, impossibili e perfino molto pericolosi.
Tremonti è uno che conta molto nel governo attuale, è in pole position per il dopo-Berlusconi, ed esprime propositi che sembrano essere largamente predominanti anche nel campo devastato della complice opposizione istituzionale. Perciò leggere lui significa leggere il punto di equilibrio fra le schegge della Seconda Repubblica e i tasselli della Terza in fieri. Tralascio altre considerazioni, senza alambiccarmi in complessi ragionamenti politici, ora che Gianfranco Fini spariglia il quadro delle alleanze di governo e non siamo perciò a bocce ferme. Cerco invece di prestare la dovuta attenzione agli otto punti che Tremonti mette al centro dell’agenda politica per il Sistema Italia. Un sistema che vuole trasformare economicamente (anzi, lui dice «re-ingegnerizzare», io dico «dov’eri, nel frattempo in questi anni?», ma tant’è…).
Ecco gli otto punti dello statista di Sondrio: «1) la competizione con i giganti; 2) il costo delle regole; 3) il Sud; 4) il nucleare; 5) il rapporto capitale-lavoro; 6) il fisco; 7) il federalismo fiscale; 8) il capitale umano, cioè ricerca scientifica e istruzione tecnica». Vediamoli uno per uno.
1) la competizione con i giganti. Tremonti sostiene che l’Europa come blocco continentale sarà il luogo della vocazione e della decisione politica naturale in cui si giocherà il futuro dell’Italia. A prima vista una banalità che qualunque politico ripeterebbe, anche con fondate ragioni. In realtà c’è una questione più insidiosa. Tremonti rivela un’ulteriore recente trasformazione dell’Europa, avvenuta all’insaputa dei suoi cittadini. C’è una mutazione della sovranità e dei meccanismi decisionali, con più potere sottratto ai parlamenti nazionali a favore di un nuovo costrutto comunitario nel quale gli Stati giocheranno tutte le loro carte e i loro “do ut des”. Svanirà l’usuale mercato delle vacche che si estenua sulle piccinerie, ma sarà sostituito da una negoziazione che prenderà decisioni più elitarie, più strategiche e dalle conseguenze durature e rigide. La scelta nucleare, come vedremo si inquadra in questa nuova situazione.
2) il costo delle regole. Ricordate il Tremonti di due anni fa, il Tremonti anti-“mercatista” (parola sua), quando agli esordi della Grande Crisi lasciava il cerino del liberismo in mano alle sinistre? Tremonti è come una carta moschicida che cattura i concetti del momento, anche i più contraddittori. Ora riesce chissà come ad abbinare la sua fase antithatcheriana e quasi no global a un rinnovato entusiasmo per un laissez-faire vecchio come il cucco, che imbelletta con slogan: «stop regulation, less regulation, better regulation».
E così siamo a posto. Dietro al solito programma della deregolamentazione, Tremonti vellica gli appetiti del suo blocco sociale di riferimento, parassitario, speculativo, orientato a consumare il territorio. Tremonti ha in fondo catturato lo spirito del tempo. Pochi giorni dopo l’intervista veniva ucciso Angelo Vassallo, un sindaco simbolo del buon uso delle regole, mentre la Federmeccanica disdettava il contratto nazionale dei metalmeccanici, un’altra regolamentazione insopportabile per il blocco sociale leghista-tremontiano. Il liberismo si ripresenta con la faccia delle locuste e con i salari sotto tiro. Tremonti aspira a essere il garante di questo nuovo e precario equilibrio, senza reali opposizioni all’altezza.
3) Il Sud. Sulla necessità di superare il dualismo dell’Italia Tremonti inserisce il pilota automatico ed estrae un’impressionante sequela di frasi fatte, vuote come un appartamento sfitto. Idee non pervenute.
4) Il nucleare. Qui Tremonti supera se stesso. Riduce la complessa questione energetica italiana ed europea all’infima porzione di energia elettrica producibile – fra molti anni e dopo immani investimenti – con le tecnologie nucleari obsolete che ci sbologneranno i francesi. Siccome non credo che Giulio Tremonti non abbia mai sentito parlare di energie rinnovabili, torno un attimo alla casella iniziale, quella del blocco europeo: è lì che l’Italia tremontiana può fare questo costosissimo favore a Parigi in cambio di chissà quale indulgenza di Sarkozy sui nostri vizi, qualora altri stati avessero qualcosa da dire. Ha buoni maestri, Giulio: il Mussolini che voleva spendere «qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative», o il Berlusconi che per compensare altre infedeltà sgradite a Washington è subito pronto ad aggiungere soldati per le guerre della Casa Bianca. Il nucleare tremontiano produrrà pochi megawatt, molti lucrosi appalti per cricche, soldi facili per Parigi, e dividendi di potere senza buoni effetti sull’interesse nazionale. Non parlo del rischio ambientale.
5) il rapporto capitale-lavoro. Tremonti vuole la fine dei contratti nazionali. Vuole far giocare l’Italia non nel campionato dell’innovazione, ma in quello della competizione basata sui ribassi salariali. Quale territorio – sia esso una regione, o l’Italia tutta, o il blocco continentale europeo – potrebbe mai vincere su questo terreno? Quale prospettiva c’è, se il salario medio mensile di un operaio tessile cinese è 60 dollari? Forse converrebbe un’altra strada. Ma Tremonti in realtà quella strada non la sa. Non gli basta scrivere i suoi libri apodittici e anticinesi per dare una prospettiva. Va detto che lui almeno li ha scritti. Veltroni, per dire, ha scritto una cianfrusaglia di 68 pagine: “Quando cade l’acrobata, entrano i clown”. Andiamo bene.
6) Il fisco. Lo stesso fabbricante degli “scudi” che hanno fatto felici i commercialisti delle mafie annuncia un «cantiere della riforma fiscale». Fa come quelli che risolvono i problemi istituendo una commissione. Lui apre “un cantiere”, fino ad essere così spudorato da proclamare il “favor” fiscale per famiglia, lavoro, ricerca, cioè esattamente le realtà più massacrate da Tremonti.
7) Il federalismo fiscale. Tremonti ne fa una questione di efficienza differenziata, in combinazione con la fine dei contratti nazionali. È un disegno in grado di spaccare definitivamente il paese, non senza aver prima moltiplicato i centri di costo delle burocrazie centralistiche regionali. Anche questa non è vera strategia. È moneta di scambio con un puntello del suo blocco sociale e di potere, la Lega Nord, una moneta maneggiata con agghiacciante disinvoltura
8) Il capitale umano, cioè ricerca scientifica e istruzione tecnica. Anche qui, niente idee, niente di niente. Solo che nel frattempo i tagli fanno scempio di insegnanti, studenti, famiglie e ricercatori.
Giulio Tremonti è dunque questo. Esprime un coacervo di attrezzi concettuali contradditori usati allo scopo di sostenere il suo ruolo di curatore fallimentare della Seconda Repubblica, forse dell’Unità d’Italia. Dietro le sue parole altisonanti c’è in realtà un obiettivo più simile a quello che perseguiva un altro Giulio, il meno funambolico Andreotti: «tirare a campare». Negli anni di Giulio Andreotti, un ventennio fa, in nome della sopravvivenza di un blocco si potere si dilapidarono in pochi anni risorse immense, confluite nel debito che abbiamo ancora in groppa. Gli anni di Giulio Tremonti sono l’amministrazione del declino dell’Italia, con l’obiettivo di sacrificare qualsiasi cosa, e con qualsiasi alleanza, purché sopravviva il blocco d’interessi – di censo e di territori – su cui fa perno. L’opposizione presente nelle istituzioni non ha un pensiero alternativo. Rovesciare quegli otto punti, i loro vuoti, le loro illusioni e le loro ingiustizie, con un programma politico radicalmente alternativo: è il primo compito di chi voglia fare politica in modo sensato, oggi in Italia.