Dopo Alternativa

Vado via da Alternativa. Sì, proprio l’organizzazione politica per la quale ho speso per anni entusiasmo, energie, impegno, contribuendo assieme ad altri alla sua fondazione, quando nacque come la più numerosa forza parlamentare di vera opposizione al governo Draghi. Questo succede perché nel frattempo tanti eventi hanno devastato il campo dell’opposizione. Il progetto di Alternativa ha subito tutti quanti i contraccolpi, fino a rendersi irriconoscibile. Nelle premesse del Manifesto di Alternativa nel 2021 scrivevamo:
 
——- «Vogliamo essere la sponda parlamentare di un più ampio movimento civile e sociale, per costituire un cantiere di discussione e azione con formazioni sociali, rappresentanti della società civile, corpi intermedi, associazioni di categoria del mondo del lavoro, dell’impresa, dei consumatori e del terzo settore. Un laboratorio di idee ed azioni che abbia sempre al centro l’essere umano quale entità civile e spirituale. Puntiamo a individuare, assieme ad altri soggetti, gruppi di persone autorevoli che compongano dei Comitati dei saggi sui temi chiave dell’opposizione. “Alternativa” parte da punti fermi per aprirsi al dialogo libero anche con mondi lontani dal suo luogo di partenza, con chiunque voglia dare piena attuazione ai principi della Costituzione.» ——-
 
Molto solenne, questo proposito. Sento tutto il peso di non essere riusciti a realizzarlo, al punto da non poter partecipare alle elezioni politiche anticipate.
Tutte le forze politiche del dissenso e dell’opposizione, nonostante una stagione come quella della lotta alle misure discriminatorie decise dai gestori della sindemia, cioè una stagione capace di suscitare impegno, slancio e partecipazione, nonostante le piazze del coraggio, e nonostante si stesse formando la coscienza di un popolo che chiedeva unità, ebbene, tutte queste forze politiche hanno sopportato una grave sconfitta politica e una battuta d’arresto dei propri progetti. Una sconfitta che nasce da molteplici fattori sia interni sia esterni al nostro mondo di riferimento.
Partiamo da qui. Comprendere questi fattori è fondamentale per fare delle scelte individuali e collettive che investono tutto il futuro delle forze di opposizione in Italia.
Il poeta John Keats diceva che “le vittorie hanno moltissimi padri, le sconfitte sono orfane”. Possiamo dire che tutti i luoghi dell’opposizione sconfitta, anche il nostro, non hanno fatto abbastanza per riconoscere la propria quota di paternità della sconfitta. Nessuno di noi è senza peccato, mentre scagliamo troppe pietre.
E invece fra chi dissente con valori democratici noi non abbiamo nemici. Dobbiamo parlare con chiunque e con lo stesso linguaggio. Il mio principio è questo e ne devono derivare atti conseguenti. Se pure vediamo ovunque germi di divisione, mi batto per superarli con un paziente lavoro di tessitura, parlando con tutti nell’area dell’opposizione.
Tuttavia, una maggioranza di attivisti, quelli rimasti in Alternativa dopo la sconfitta, non è di questo parere e persevera in quel medesimo freno concettuale e politico che aveva già paralizzato per mesi le scelte del gruppo promotore del partito con esiti micidiali che avevano allontanato molti ottimi compagni di strada e impedito la costruzione di un cartello elettorale. Il mio punto di vista è che dentro Alternativa c’è stata una chiusura e un ripiegamento claustrofobico del dibattito: qualcosa che ha sprangato tutti gli sbocchi. Eppure, il progetto non era nato affatto con questa visione.
Abbiamo di fronte un potere spregiudicato che è il vero nemico e ci porta alla guerra e alla penuria. Le oligarchie dominanti si inventano nuovi insidiosi attacchi contro la vita democratica dei popoli. Ci sono poteri che non vedono l’ora di liberarsi di qualsiasi critica e di qualsiasi organizzazione popolare che li possa limitare. Amano l’emergenza, perché mette paura e divide le persone. Naturalmente vogliono approfittare delle divisioni e sono lieti se tutti sono più isolati, e perfino se molti si fanno espellere dalla competizione politica e non votano lasciando a loro il campo libero.
Sapevamo già dunque di quanto fosse estrema la spregiudicatezza del potere, ma non sapevamo quanto sarebbe stata più rapida dei nostri riflessi: lo scenario peggiore si è realizzato praticamente all’istante, come una profezia che si auto-adempie con tutta la spietatezza di un “instant Karma”.
Il 25 settembre è stato un amaro risveglio per molti, ma comunque un risveglio. Dovremo essere visionari e realisti ad un tempo. Il campo dell’opposizione è più grande delle nostre forze di partenza.
Il problema si pone con particolare difficoltà in un momento in cui le appartenenze sono liquide: non esistono più le adesioni ideologiche di una volta. Molti gruppi di “dissenso” partono in un certo senso “alla pari”, quasi in concorrenza fra loro, nel proporre ciascuno una batteria di idee di opposizione, spesso intercambiabile con le batterie di tutti gli altri.
Ciò da un lato facilita il compito di trovare militanti e dirigenti che maneggiano già idee comuni in grado di interagire sin da subito. Dall’altro lato rende più complesso lavorare con persone e gruppi che sono già strutturati e con il loro bel simbolo iscritto in un contrassegno rotondo. Passare da 15 persone a 500 e poi a 1.000 e in prospettiva a 10.000 (e più ancora) comporta un impegno enorme che implica il dirigere tutto ma non il poter controllare tutto. In queste situazioni è facile che la “sconfitta orfana” faccia esplodere le contraddizioni latenti. La situazione interna di molti partitini è deflagrata e i loro dirigenti non trovano più le basi giuridiche per agire senza delegittimarsi. Finché c’era la locomotiva della rappresentanza parlamentare, c’era un centro di gravità. Poi non più. Nodi politici che richiedono pazienza vengono affrontati con gli strumenti della lite sui social network, la più inadatta. Dopo decenni di desertificazione dei luoghi di formazione politica, dopo decenni di pedagogia narcisistica dei social, dilaga una sorta di primitivismo nel modo di parlarsi che fa affondare qualsiasi principio d’ordine. Pertanto mi trovo, proprio io che ho co-fondato Alternativa, a unirmi alla schiera di tanti ottimi attivisti che se ne sono andati proprio perché nelle idee di partenza hanno creduto e vogliono dar loro sostanza. Con tutti costoro voglio fare tanto. Ma in un ambiente che non faccia perdere tempo a nessuno.
Non ci sono papi stranieri da chiamare per ricostruire la comunione dell’opposizione. Dovremo ricostruirla in tanti, questa comunione. Insieme, noi, abbassando gli indici puntati e ragionando su una prospettiva unitaria.
Non sarà facile, per niente facile. I cinque stelle puntano tutto sulla narrazione della loro nuova verginità. Un mito falsissimo, ma potentissimo, bastevole per fare da magnete per un pezzo significativo di opposizione. Nel mentre, il potere farà di tutto per costruire un’egemonia totalitaria su nuovi disvalori: dalla guerra, al transumanesimo, alla configurazione di un nuovo capitalismo senza senso del limite.
Noi, insieme, dovremo costruire l’Alternativa, ma questo va al di là e da un’altra parte rispetto alla singola irriconoscibile organizzazione che aveva assunto questo nome ambizioso ma che ha già consumato tutta la sua parabola.
Dovremo mettere insieme diversi carismi, dovremo costruire forza e disciplina morale e intellettuale, dovremo costruire organizzazioni territoriali che difendono le persone corpo per corpo, anima per anima, con metodo democratico e con rispetto di idee diverse e creino una nuova sovranità. Facciamo ciascuno la nostra parte senza forzature né cooptazioni forzate, senza legarci a formule provvisorie. Facciamolo con il passo dell’essere umano.
Perciò mi dimetto dall’impegno in Alternativa, una specifica organizzazione che ha esaurito la sua spinta propulsiva, ma non mi dimetto dall’essere “zoon politikon”, animale politico, e per prima cosa ancora “zoon logon echon”, animale dotato di parola. C’è molto da dire e da fare per difendere esistenzialmente un vasto campo di diritti minacciati. Farò quel che so fare, dirò quel che so dire. Ritroviamoci in modi nuovi, a partire dal costruire un pensiero, una comunicazione e un’informazione diversa che non si faccia travolgere dall’ondata dei guerrafondai. Ce n’è un gran bisogno in ogni angolo della Repubblica italiana.

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