Dopo Cipro: fuggire, o aprire l’Europa come una scatoletta di squali

di Pino Cabras e Simone Santinida Megachip.

Esplode
la voglia di fuggire dall’Europa, adesso che i suoi padroni aizzano i
cani della crisi contro i popoli. I proprietari universali hanno fatto
alcuni esperimenti da Shock Economy per vedere se gli azzannati
riuscivano a difendersi. Volevano collaudare – su scala ridotta, ma non
troppo – il modo in cui una società potrebbe essere annichilita da una
burocrazia ottusa e feroce e trovarsi impedita se volesse rovesciare la
politica dominante. La Grecia avrebbe potuto riassorbire la fase acuta della crisi in pochi mesi, e invece le sono state somministrate per anni ricette economiche prive di qualsiasi apparente logica. Mentre si licenziavano centinaia di migliaia di lavoratori, a quelli che conservavano il posto si imponevano stipendi decurtati e orari ben oltre le 40 ore settimanali. E ora siamo giunti al test di Cipro,
non ancora concluso, eppure già adottato dagli eurocrati che gongolano
perché lo vogliono ripetere su larga scala. Pazzi e pericolosi,
sembrerebbe. La tentazione è dunque fuggire, come invoca Debora Billi sul suo blog Crisis: «Fuggite, sciocchi!».
Anche noi, come lei, abbiamo paura della dittatura dello spread: è un
nuovo dispotismo mostruoso, diabolico, impersonale, disperante. Ma
dobbiamo lo stesso chiedercelo: «Fuggire? Dove?»…
L’alternativa
non è tra fuggire o rimanere in uno stato di schiavitù. La scelta, ora,
è tra combattere o rimanere schiavi, laddove la fuga non sarebbe altro
che una delle tante forme del rimanere schiavi.
Esistesse
un’isola, dall’altra parte del mare, o una radura, dall’altra parte
della montagna, in cui regna la libertà, si potrebbe pensare di fuggire
lì per immaginare un’altra vita, un nuovo mondo. Ma questo luogo non
esiste: non c’è, ad esempio, per 60 milioni di italiani. Noi siamo qui,
ora, e possiamo solo combattere o arrenderci.
Fuggire dalla dittatura europea vuol dire (ri)entrare nella dittatura dell’Italia comunque senza sovranità, sotto il comando atlantico. Film già visto? Sì e no. Stavolta sarebbe peggio.
All’epoca della guerra fredda, c’era una sorta di “semi-sovranità”, un gioco sub-dominante in mano a partiti politici che facevano partecipare direttamente al sistema politico milioni di persone.
Non era un pasto facile da divorare, quell’Italia, nemmeno per chi
aveva messo gli stivaloni nel piatto. L’Italia di oggi ha invece una
politica destrutturata, sindacati annientati, corpi sociali intermedi
che agiscono solo a corto raggio. E’ pronta per essere spolpata da
multinazionali occidentali, petromonarchi arabi, mega-imprenditori
cinesi, magnati russi, e mafiosi di ogni nazionalità, ordine e grado,
che avranno gioco facile, purché gli sia chiara la vera regola: dove orbitano i soldi. La galassia del denaro deve ruotare ancora e sempre intorno all’asse Wall Street-Londra.
Ora non c’è più simpatia per le distrazioni centrifughe dei paradisi
fiscali. Non è più il tempo nemmeno per quelle zone ambigue e
paramafiose che si ossigenavano in Vaticano o a Cipro.
Sembra
disordine, sembra solo follia, ma non c’è da giurarci. Vediamo
capitalisti in rovina, distruzione, ma non è nulla di nuovo. C’è semmai
un ordine che vorrebbe emergere dal caos “esternalizzando” i costi sui popoli e sulla natura.
Proprio oggi, una sorpresa: nientemeno che il settimanale statunitense Time dice che Karl Marx
queste cose le aveva previste, che era stato proprio profetico. Se lo
dicono anche gli americani, viene voglia di rileggere il libro primo del
«Capitale». Parlava forse di noi, di quel che accade ora? Senti qui che
cosa diceva il buon Marx: «con la produzione capitalistica si forma una potenza del tutto nuova, il “sistema del credito”, che ai suoi primordi si intrufola di soppiatto come modesto ausilio dell’accumulazione
e mediante invisibili fili attira nelle mani di capitalisti individuali
o associati i mezzi monetari disseminati in masse più o meno grandi
sulla superficie della società, ma ben presto diviene un’arma nuova e temibile nella lotta di concorrenza, e infine si trasforma in poderoso meccanismo sociale per la centralizzazione dei capitali»
.
Ecco il concetto, centralizzazione dei capitali.
Questa Europa – giustamente esecrata da noi e da Debora Billi, l’Europa
di questo Euro – è stata anche un gigantesco meccanismo di
«centralizzazione dei capitali»: prima si è presentata come un ambiente
vivace per la concorrenza, poi come un sistema che (ancora Marx) causa
la «rovina di molti capitalisti minori, i cui capitali in parte finiscono nelle mani di chi vince, in parte scompaiono»
(assieme alle prospettive di milioni di persone), infine un processo di
centralizzazione che si addensa là dove vuole la politica dominante.
Noi vediamo il nuovo volto terribile della Germania e dell’eurocrazia
che produce governi “tecnici” e governi maggiordomi, con una mezzogiornificazione del Sud Europa, l’area perdente in questa fase della centralizzazione.
Sopra questo processo si avanza però qualcosa di più vasto ancora. Faremo bene ad abituarci quanto prima a discutere della nuova Agenda Atlantica, ossia l’area di libero scambio (con tanto di istituzioni sovranazionali euroamericane) che è già materia di pre-negoziato a Washington e presso l’élite europea.
In una crisi sistemica
montante, non possiamo realisticamente escludere che la “fuga dalla
dittatura” non la faremo noi, ma la stiano progettando loro per noi, per
gettarci in quest’altro bel baratro, per una forma suprema di
centralizzazione dei capitali, l’ultimo giro di giostra dei redditieri.
Intanto fuggiamo dalla dittatura,
dice Billi, e poi si vedrà? No, poi non sarà possibile vedere niente. È
mentre si combatte che si costruisce il “poi”, non mentre si fugge.
I
partigiani che hanno scalato la montagna, e che sono morti, che ne
sapevano della “svolta di Salerno” di Togliatti? Poi hanno avuto
cinquanta anni di americani e Democrazia Cristiana. Avevano forse
scalato la montagna e sono morti per avere quello? No, e ciononostante
hanno avuto la possibilità per decenni di lasciare contrappesi e
contropoteri nel sistema. Oggi rischieremmo per paradosso di consegnarci mani e piedi a una Bruxelles più invadente ancora, e più atlantizzata. Un incubo.
No,
Debora, noi non vogliamo fuggire. Vogliamo combattere. E speriamo,
vogliamo, essere con te dalla stessa parte. Parliamo, nientemeno, di una
rivoluzione politica. In grado di immaginare una sfida europea. Una nuova Costituzione europea, perché no? L’importante (non sappiamo se è un fuggire) è che si abbandonino gli attuali trattati in vigore, Lisbona e Maastricht. Chi può farlo? I popoli, se fanno politica e si sentono sovrani.
Uno dei più colossali fraintendimenti del fenomeno Cinque Stelle è stato quello di Wu Ming,
che lo ha visto come una sorta di anestetico dei conflitti, tanto da
metterlo in contrapposizione alla presunta maggiore radicalità di Occupy
Wall Street e Indignados.
Invece
la presenza nelle istituzioni, proprio questo volerci essere, ha fatto
una differenza enorme per il movimento italiano. Al momento esso è
infinitamente più dirompente rispetto alle piazze spente dei movimenti
più radicali di altri Paesi. Se vogliamo immaginare un processo
costituente internazionale che riesca a contrastare l’Agenda Atlantica, dovremo comunque pensarlo molto proiettato dentro le istituzioni.
Anche la Nato e la UE sono da aprire come scatolette, purché si sappia che lì dentro non ci sono esattamente tonni.
 

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