Dopo Karlsruhe, come garantire la liquidità

La sentenza della Corte Costituzionale Federale tedesca sulla BCE va poggiata sull’unico terreno che conta per l’azione politica: il realismo. I pii desideri non servono a nulla, e non si deve forzare il significato di questa sentenza per farlo quadrare con un’ideologia, tanto meno l’ideologia dell’«Unione europea reale» che conosciamo. Il vizio di non credere alla realtà lo notiamo già in buona parte dei commenti a caldo delle classi dirigenti italiane di fede euroentusiasta. Di fronte a una botta storica come questa, ogni loro frase rimuove i fatti, che sono pronti a ripresentarsi comunque in tutta la loro spietata durezza.
Cosa esaminavano dunque i giudici costituzionali tedeschi riuniti nella sede di Karlsruhe? Essenzialmente, hanno preso di petto il programma di acquisto di titoli da parte della Banca Centrale Europea iniziato cinque anni fa, ossia quel programma di Quantitative Easing (QE) che va sotto il nome di Public Sector Purchase Programme (PSPP), ossia “Programma di acquisto del settore pubblico”. La BCE acquista enormi quantità di titoli emessi da governi, da agenzie pubbliche e istituzioni internazionali situate nell’area dell’euro, e immette così nel sistema un’enorme massa di liquidità.
Ebbene, i togati di Karlsruhe dovevano rispondere a una grande questione: questo programma della BCE (una gigantesca stampa di denaro) è compatibile con la Legge fondamentale germanica? Cosa deve prevalere, la norma eurounionista o la costituzione tedesca?
Già nel titolo del comunicato stampa ufficiale n. 32/2020 della corte di Karlsruhe è detto tutto: «Le decisioni della BCE relative al programma di acquisto del settore pubblico superano le competenze della UE». Il titolo del pezzo de “Il Sole 24 Ore” si fa prendere invece dal “vizio” dell’«euroentusiasmo irrealistico» che abbaglia buona parte delle classi dirigenti italiane: «BCE: Corte Costituzionale tedesca conferma legalità del QE». Certo certo, come no?
Eppure la Corte lo scrive chiaramente, andando a citare una sua giurisprudenza consolidata, affermata negli anni sentenza dopo sentenza: «La prospettiva costituzionale potrebbe non coincidere perfettamente con la prospettiva della normativa UE dato che, persino sotto il Trattato di Lisbona, gli Stati Membri rimangono i “Padroni dei Trattati” e l’Unione Europea non si è evoluta in uno stato federale». Poche storie: per i giudici tedeschi, le costituzioni nazionali sono una fonte superiore ai trattati.
E precisano anche che se la BCE proseguisse con il suo programma, la Bundesbank (cioè la banca centrale tedesca) dovrebbe garantire «che le obbligazioni già acquistate e detenute nel suo portafoglio siano vendute sulla base di una strategia – possibilmente a lungo termine – coordinata con l’Eurosistema». Tradotto: se la BCE va avanti, la Bundesbank non solo deve scappar via da questo programma senza comprare ulteriori obbligazioni ma deve categoricamente vendere i bund che ha in portafoglio. Sarebbe esattamente la mano contraria rispetto alla strategia BCE. Né più né meno. Gli specialisti considerano la sentenza come la campana a morto per il “rollover”. Cioè, gli attivi acquistati in precedenza, una volta che arrivano a scadenza non possono essere riacquistati. E la questione dovrà chiarirsi entro tre mesi. Un tic tac incalzante in piena (dichiarata) crisi pandemica.
Se leggiamo bene tutto questo, ci troviamo costretti a correggere radicalmente il ministro Gualtieri quando sostiene che questa sentenza «non produrrà effetti». Parliamo invece di un immenso macigno che sta già rotolando. I francesi se ne sono accorti subito, e a Parigi i governanti strillano, preoccupati dal crollo dei dati economici e dall’incertezza dei mezzi monetari ora soggetti a un drammatico conto alla rovescia trimestrale. Ma anche in Germania se ne sono accorti. Il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung sostiene che assistiamo alla «fine di un’Unione Europea autocratica», perché è terminata l’espansione ingannevole del suo potere che ha portato a ferite insanabili e all’assoluta assenza di democrazia.
Riassumendo, per i tutori dell’ordinamento tedesco, l’Unione europea non è uno Stato federale e gli Stati membri restano i sovrani che hanno le basi costituzionali in grado di definire i limiti dei trattati. Conseguentemente, la potestà di battere moneta per la Repubblica Federale di Germania risiede nella sua Bundesbank. In tale contesto la BCE viene vista come un fondo sovrano che stampa denaro solo se non causa perdite all’azionista germanico e solo se rispetta un criterio proporzionale nell’acquisto di titoli (altrimenti lo considera un intervento di politica economica che esorbita dai limiti dei trattati). In tre mesi la BCE è chiamata a cambiare politica, in caso contrario la Bundesbank deve porre termine alla sua quota di operazioni.
Cosa rimane alle economie di tanti Stati dell’eurozona di fronte alla loro fame di liquidità? Se si incepperà la Banca Centrale, non avranno accesso ai mezzi “infiniti” adottati da altre economie assistite da vere banche centrali. Cosa rimarrà? Rimarrà il MES. Lì ci vogliono portare, immancabilmente. Liquidità in cambio di uno scenario alla greca: tagli, privatizzazioni selvagge, massacro sociale, commissariamento della politica economica, manomissione della sovranità costituzionale. I giudici tedeschi hanno affermato con forza la preminenza della loro base costituzionale. Quando l’allora presidente della BCE Mario Draghi fece il funambolo per giustificare gli interventi tramite operazioni monetarie OMT, dovette andare anche a Karlsruhe per spiegare ai giudici tedeschi quanto queste operazioni fossero ingabbiate dentro un sistema rigidissimo di condizionalità.
I tedeschi hanno fatto chiarezza sull’ordinamento che prevale. Noi che dobbiamo fare? La questione si pone adesso.
Stanno emergendo diverse proposte dal lato della maggioranza e dell’opposizione per eccezionali innovazioni in grado di rafforzare la capacità italiana di creare liquidità, in virtù dei propri “fondamentali” economici, il proprio formidabile risparmio, la propria base produttiva. Il governo propone straordinari bonus fiscali in grado di rilanciare l’edilizia (che a sua volta può innescare grandi effetti economici), propone bonus di spesa per salvare il sistema turistico che somigliano ai certificati di compensazione fiscale (CCF) delle proposte di legge presentate da me e altri parlamentari della maggioranza. Anche esponenti di Fratelli d’Italia e perfino Salvini iniziano a citare esplicitamente i CCF. Credo sia giunto il tempo di fare una grande operazione d’insieme che ricomponga il mosaico di interventi proposti dentro un unico quadro organico, una piattaforma tecnologica unificata in grado di attivare una forte immissione di liquidità nel sistema. Queste misure vanno inserite in un piano che ne preveda anche altre, specie in termini di valorizzazione del risparmio italiano, proposte anche da molti economisti che ragionano fuori dagli schemi “austeritari”.
Le settimane che rimangono rispetto all’ultimatum di Karlsruhe non vanno sprecate. Possiamo cogliere una grande occasione storica, in un momento drammatico che non ci risparmierà difficoltà e sofferenze, ma con la possibilità di affrancarci dal solito meccanismo dell’Europa post-Maastricht. Sul tema, pur mantenendo distinti i ruoli di governo e opposizione, si possono trovare convergenze per il bene comune.

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