Schlein e l’argenteria dei ricchi

Durante il colloquio di plastica su La7 di Maurizio Molinari e Elly Schlein emerge persino un’espressione che mi fu cara: “l’Alternativa c’è”, rubata per un giro di giostra del loro marketing. Ma loro non sono l’alternativa.

Non c’è argomento su cui non tentino di rappresentare differenze politiche e morali con la destra su questioni per lo più insignificanti, ma non c’è nulla su cui si riesca a vedere differenze vere su ciò che conta.

Serge Halimi di “Le Monde Diplomatique” lo disse una volta molto bene:

«La sinistra riformista si distingue dai conservatori per il tempo di una campagna elettorale grazie a un effetto ottico. Poi, quando le è data l’occasione, si adopera a governare come i suoi avversari, a non disturbare l’ordine economico, a proteggere l’argenteria della gente del castello».

Ecco, Schlein non prende impegni che disturbino la gente del castello, non riesce a dire no alle armi da buttare nella fornace della guerra, non riesce a dire no a Draghi alla Commissione Europea, si rifugia in tutte le frasi fatte del repertorio piddino più annacquato, disinnescato, parolaio, non dice una parola contro la pistola carica dei dittatori dello spread, il MES, e anzi critica chi non lo vuole ancora approvare. Sia Schlein sia Meloni vogliono arrivare alle elezioni europee quasi senza farsi notare, obbedendo all’agenda di chi comanda in Europa ma ovattando ogni spunto che le dovesse costringere a prendere posizioni diverse. Non disturbare il manovratore!

Non possono essere loro a rappresentare la maggioranza silenziosa di chi vuole la pace, di chi vuole ricucire i legami che creano prosperità in Eurasia e nel Mediterraneo, di chi vuole evitare l’avventurismo di istituzioni portate alla guerra e all’emergenza permanente. Loro stanno pavimentando il terreno a un Draghistan europeo. Per loro sarebbe l’apoteosi.

Ci converrà agire per evitare il definitivo suicidio economico, politico e culturale di un intero spazio continentale.

Notazione finale: il quotidiano diretto da Molinari, “la Repubblica”, ha perso trentamila copie in un mese. Quasi il doppio dei morti della Striscia, da lui diluiti nella sua pessima copertura giornalistica della vicenda. Non è semplice karma. È un segnale di rifiuto di una narrazione intossicata. Non va solo rifiutata, va sconfitta.

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