Sentenza Assange: diritto alla plastilina o diritto al plastico?

 
SENTENZA ASSANGE: DIRITTO ALLA PLASTILINA O DIRITTO AL PLASTICO?
 
Per descrivere la malleabilità del diritto si tende a paragonarlo alla plastilina.
Nel caso della sentenza dell’Alta Corte Britannica sull’estradizione di Assange vediamo sì una sorta di materiale modellabile e adattabile, ma temo non si tratti di plastilina, bensì di un materiale che gli somiglia ma è infinitamente più pericoloso: il plastico.
Anche il plastico è plasmabile, capace di tenere una forma e di vederla adattata in una cornice apparentemente stabile e sicura. Tuttavia, se hai un detonatore puoi sperimentare la differenza dalla plastilina.
È dunque presto per tirare un respiro di sollievo sulla possibilità di Assange di ricorrere in appello contro l’estradizione: è una corsa contro il tempo in cui la sua difesa non potrà presentare nuovi elementi, laddove invece la sentenza lascia un po’ di tempo alle autorità USA per formulare una qualche rassicurazione diplomatica sul fatto che non sarà applicata la pena di morte al fondatore di WikiLeaks e che si rispetterà il Primo Emendamento. Siamo in un contesto storico in cui le rassicurazioni statunitensi non sono più credibili. Potrebbero essere rovesciate con pretesti e nuove accuse una volta che Assange fosse inghiottito nel sistema carcerario statunitense, che già di suo offre alcuni penitenziari terribili, perfino peggiori di quel luogo di tortura che è la britannica Belmarsh dove ora è detenuto.
Avremo tre settimane per mobilitare le coscienze e farlo diventare un tema politico collegato a tutto il nostro impegno per la pace.

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