Senza Paragone?

Le posizioni politiche del senatore Gianluigi Paragone stanno ormai scorrendo giù per il piano inclinato delle regole del M5S, dove – come in tutti i piani inclinati – finisce per prevalere una forza di gravità inesorabile. Il MoVimento ha cercato sempre di applicare con rigore le sue norme per non ripetere la giungla di eccezioni con cui nei decenni era cresciuto l’intrico immorale dei partiti tradizionali, ed è un bene. Ma il prezzo di questo rigore è che talvolta si perde di vista anche il contesto politico. Nel caso di Paragone vedo già gli effetti di questa distorsione. Certo, le regole sono regole. Votare la fiducia al governo è un vincolo fondante sottoscritto da chi appartiene al gruppo parlamentare. Però questo non giustifica a mio avviso le posizioni espresse da alcuni parlamentari del M5S nei confronti di Gianluigi. Trovo molto sbagliato quel che ad esempio ha dichiarato il collega Luigi Gallo, che lo ha definito «il virus leghista che ha infettato il M5S. Il suo intento è produrre una metastasi nel corpo sano del M5S». E sebbene fosse privo di questa truculenza oncologica, ho visto comunque un eccesso di zelo nell’invito che un altro deputato, Riccardo Ricciardi, ha rivolto perentoriamente al senatore Paragone affinché si dimetta.
Non so cosa faranno gli organi di informazione di queste mie considerazioni, se saranno ignorate, se saranno riferite correttamente, o se – più probabilmente – verranno inserite nella perenne cornice snaturata dello “scontro interno al M5S”, del “Movimento che si spacca”.
Io provo lo stesso a descrivere quella che ritengo la vera sostanza che emerge dalla vicenda.
Secondo me Paragone non è un virus, né una metastasi, né un corpo estraneo, né un cripto-leghista. È invece la cresta di un’onda che ha sollevato assieme ad altre onde la marea dei voti del MoVimento 5 Stelle alle elezioni politiche del 2018. Gallo, Ricciardi, Paragone, chi vi scrive e altre centinaia di parlamentari, tutti diversi l’uno dall’altro, sono stati eletti proprio perché il M5S ha rappresentato il più grande punto di coagulo dell’opposizione con un’ambizione di governo: una forza composita e variegata che si è opposta frontalmente per anni e senza compromessi a un ceto politico terribilmente screditato. I Cinquestelle sono diventati a un certo punto gli unici in grado di portare in Parlamento rappresentanti non organici al “Pensiero Unico”. Nell’elettorato si era aperta una “voragine di non rappresentati” che volevano finalmente pesare. Il M5S avanzava un’offerta politica in cui si sentivano pienamente a casa persone di provenienza differente, di tradizioni e valori eterogenei, riuniti da un nuovo progetto che creava e garantiva una nuova “biodiversità” politica.
Quella “voragine di non rappresentati” stava cercando case nuove da abitare e traslocava in modo irrequieto: lo aveva fatto dapprima a sostegno delle liste pentastellate, ma nell’anno successivo travasava una parte dei suoi voti verso altre forze politiche che – anche con spregiudicatezza – avevano capito che quella voragine esisteva ed era composta da una moltitudine fatta di milioni di cittadini. Gianluigi Paragone, che il mondo della Lega lo conosceva, già con la sua sola presenza ci diceva e ci dice che Il M5S può scegliere di parlare a questo mondo in ebollizione, una massa che vuole controbattere alle politiche “austeritarie” europee con una nuova attenzione alla sovranità della nostra politica economica. Se rinunciamo a rappresentare questa vastissima porzione dell’elettorato, se rinunciamo ad avere dentro la voce di Paragone e altri, rischiamo di regalare la speranza di milioni di cittadini al binario morto di Salvini e Meloni. Loro sì, rappresentano una vecchia-nuova alleanza che tuona di retorica in nome del sovranismo, ma che al momento giusto dichiara che l’odierna costruzione europea è «irreversibile», come lo direbbe un Draghi qualsiasi. Noi dobbiamo invece far valere gli interessi della Repubblica italiana con sempre maggior fermezza, senza galleggiare, proponendo grandi innovazioni, specie nella politica economica. Non è un caso che Paragone, così come altre decine di senatori pentastellati di diversa ispirazione, sia anche lui tra i firmatari di una proposta di legge analoga a quella che ho presentato con altre decine di colleghi deputati per l’istituzione dei Certificati di Compensazione Fiscale. Non mi pare una deriva leghista, ma un punto alto di elaborazione collettiva che vale la pena preservare.
Quindi, abbiamo regole organizzative, certo, ma aspettiamo ancora prima di applicarle nel modo più intransigente. Preserviamo la biodiversità del MoVimento.

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