Coraggio e senso della Storia

Ho ricevuto molti messaggi in privato o pubblicamente, in questi giorni. Sono tanti gli elettori di partiti di sinistra che conoscono il quadro dei valori con cui mi sono formato e a cui mi dichiaro fedele e pertanto mi chiedono: come fai a stare in una maggioranza parlamentare e di governo con una forza politica fascista e razzista? Così indicano la Lega.
Qualche settimana fa, mentre era in corso il tentativo di formare una maggioranza parlamentare e di governo con il PD, erano tanti gli elettori che non votavano a sinistra che conoscevano le mie posizioni contro l’austerity e pertanto mi chiedevano: come farai a stare con una forza politica complice della macelleria sociale e delle guerre occidentali degli ultimi vent’anni e dei loro stermini? Così indicavano il PD.
Rispondo a tutti mentre trovo ancora la mia navigazione sollevata da una marea di voti che fanno del M5S una forza abbastanza vasta da essere imprescindibile per un governo, ma non bastevolmente autosufficiente. Gli unici governi possibili richiedono una negoziazione in cui si trovino punti comuni tra soggetti molto diversi e si accettino mediazioni lontane dalla propria storia.
Inevitabile per chi sottoscriva un accordo di governo non essere contento di alcuni punti della negoziazione.
Inevitabile soprattutto riscontrare le reazioni dei soggetti che stanno al di fuori dell’accordo e che dicono con durezza che non importa quanti contenuti positivi si ottengano negoziando con “quelli là”, perché tutto deve diventare non negoziabile per via della parte per loro non negoziabile.
L’unica alternativa a un accordo come questo sarebbe però cedere il passo all’ennesimo governo tecnico, che invece non negozierebbe nulla e agirebbe con una spietata mentalità liquidatoria. Cioè un governo pericolosissimo che aggiungerebbe sofferenze enormi alle sofferenze già inflitte al popolo dai precedenti governi tecnici.
Il governo nuovo, finalmente un governo politico che rappresenta la maggioranza degli elettori, giurerà sulla Costituzione. Chi parla di un nuovo fascismo alle porte esagera e si fa impressionare da un pericolo inesistente che lo mette fuori gioco e fuori fuoco. Ogni atto concreto del governo, ogni suo provvedimento farà i conti con la Costituzione, che ha un passo più lungo delle bandiere di partito.
Ho votato in favore del “Contratto di governo” senza farmi impressionare dalle poche bandiere subite o imposte, dalle poche cose che avrei cambiato se avessi da solo il 51%. Ho guardato alla sostanza vera, grande e importante di questo storico documento, che corona un’aspirazione che ho espresso in una lettera ai parlamentari del M5S lo scorso 5 maggio, quando la possibilità dell’accordo sembrava ormai sfumata: «è ancora possibile ottenere un governo di concordia nazionale, che unisca bisogni e interessi diversi, ma sia fautore di un radicale cambiamento politico, con il sostegno di un’ampia base popolare, trasversale e complementare nella composizione socio-economica e territoriale? Tutto questo potrebbe essere esaudito da un contratto per un governo di legislatura tra M5S e Lega.» Beh, si è concretizzato davvero molto di quel che auspicavo.
In cosa consiste il «radicale cambiamento politico»? Credo che il tutto si possa interpretare con il vero centro del programma: restituire alla Repubblica italiana i mezzi, i metodi, gli istituti occorrenti a fare autonomamente Politica Economica, ossia tutti gli strumenti per i quali la repubblica è stata invece da molti anni esautorata dall’attuale struttura istituzionale europea, che ha favorito un impoverimento sempre più grave dei cittadini e della cosa pubblica, con un progressivo svuotamento della sovranità popolare.
Recuperare le leve della Politica Economica significherebbe recuperare industria, finanza, sostenibilità previdenziale, programmazione dell’economia, azioni di perequazione territoriale e sociale, altrimenti precluse. Significherebbe chiudere con una fase in cui la fiscalità è stata una forma di predazione distruttiva e disordinata, iniqua e sempre più insopportabile per cittadini e imprese. Significherebbe la partecipazione alla vita lavorativa e allo studio di milioni di persone fin qui sacrificate da un’austerity spietata (che ha senso solo per la grande finanza e i suoi intellettuali organici arruolati dai media più importanti).
I poteri che da lustri hanno tenuto in scacco la Repubblica italiana lo hanno capito benissimo che la polpa sta tutta in ciò: ossia la Politica Economica in mano a un governo legittimato da un’ampia e inedita sovranità popolare. Non temono il populismo e il sovranismo, che sono solo parole “portemanteau” a cui attaccano ogni tipo di stigmatizzazione politica. Temono più concretamente la sovranità popolare, che è in grado di erodere i rapporti di forza su cui si sono adagiati.
A tutti coloro che insistono per farmi notare le contraddizioni e i difetti della maggioranza di governo cui ora diamo inizio, dico una cosa molto semplice: non affannatevi, le vedo già da me, e so che occorre una capacità di mediazione (e se del caso di durezza negoziale) che non sarà affatto scontata per correggere o interpretare importanti dettagli del contratto, sotto l’ombrello della Costituzione. Tutto giusto.
Ma dico anche: la spinta del voto delle elezioni del 4 marzo non è contraddittoria, anzi, è sorprendentemente coerente. Gli elettori hanno ridimensionato le forze che hanno svenduto alle tecnocrazie europee la Politica Economica e hanno premiato le forze che rappresentano interessi governabili solo con una riconquista della Politica Economica, interessi componibili in un nuovo blocco storico che unisca la Repubblica italiana in una radicale revisione degli equilibri di potere in Europa, specie in materia economica e monetaria.
Stiamo entrando in un campo pericoloso, perché quando l’Italia ha forzato le limitazioni alla propria sovranità, ha affrontato interferenze e contraccolpi molto duri, spesso per mano di alleati che per un verso ci sono amici, per l’altro ci colpiscono con una miriade di strette e azioni ostili se non addirittura golpiste. È storia. Sarà anche cronaca? Molto dipende dalla forza popolare che sapremo mobilitare. Salvini e Di Maio, l’uno indipendentemente dall’altro, hanno fatto appello al coraggio. Di Maio ha detto che stiamo scrivendo la storia, e chi è abituato alla lunga stagnazione italiana ne ha riso. Ma il capo del Movimento ha interpretato bene dove si trova la nostra vicenda repubblicana. Ci vuole coraggio e senso della storia.
 
 

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