Le infinite discussioni sulla guerra ucraina sono condizionate dal colossale equivoco con cui le classi dirigenti occidentali hanno trattato nel XXI secolo la questione ucraina.
Presentano il tutto come l’aspirazione degli ucraini a diventare occidentali attraverso l’acquisizione contrastata di un pacchetto di valori democratici ed economici che si lasci alle spalle i legami con Mosca, costi quel che costi.
Ma la realtà è un’altra. In realtà è in ballo non tanto l’occidentalizzazione dell’Ucraina, quanto l’«ucrainizzazione» dell’Occidente. Ossia una profonda alterazione dei fondamenti identitari che hanno accompagnato l’Occidente dopo la Seconda guerra mondiale vinta nei confronti del sistema hitleriano, che prevedevano una condivisione dei principi antinazisti del discorso pubblico con Mosca, perfino nella cornice della Guerra Fredda.
Dopo la fine dell’Unione Sovietica è stata fomentata una nuova (antica) tendenza: in Ucraina, in Polonia e nei paesi baltici è stato incoraggiato un ribaltamento dei valori antinazisti, per irrobustire un crescente nazionalismo antirusso e russofobo che risultava incendiario nel complicatissimo crogiuolo etnico post-sovietico. Le cerimonie con ministri affiancati da vecchi esponenti delle SS o da figuri che ne rivendicavano l’eredità politica diventavano normali a Kiev e nelle capitali baltiche, regolarmente ignorate dalle redazioni e dai governanti occidentali.
Questa enorme rimozione oggi si rivela in pieno con la strepitante ovazione del parlamento canadese a Yaroslav Hunka, veterano delle Waffen Grenadier delle SS, affiancato dall’immancabile «negro da cortile» (come avrebbe detto Malcom X), ossia il recidivo Volodymyr Zelensky. Era troppo grossa, stavolta, ed è tutta una corsa a chiedere scusa, con tanti che cadono dal pero o che – meglio – fingono di essere sorpresi. Semplicemente sono stati finalmente scoperti mentre ripetevano a Ottawa il loro gioco con il fuoco che compiono altrove da troppi anni con estrema spregiudicatezza e irresponsabilità.
Particolarmente maldestre sono state le scuse del primo ministro canadese, Justin Trudeau, che ha pronunciato con uno sguardo trafelato e imbarazzato alcune tardive parole di rincrescimento per la standing ovation al nazista. Malgrado l’occasione gli suggerisse di non fare il gradasso, Trudeau ha avuto lo stesso la faccia tosta per infilare un cazziatone ai russi: anziché respingere la sfacciata propaganda revisionista dei pupazzi di Kiev, lui considera urgente «respingere la propaganda russa, la disinformazione russa e continuare a sostenere fermamente e inequivocabilmente l’Ucraina.» Suona sinistramente simile a un discorso recente di Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione europea, durante la premiazione del Consiglio Atlantico, si è rivolta al primo ministro giapponese, Fumio Kishida: «Lei ci ha invitato nella tua terra natale, a Hiroshima […] Molti dei suoi parenti morirono il giorno in cui la bomba atomica cancellò Hiroshima dalla faccia della terra». Poi il dito puntato sui russi: «questo viaggio ha rappresentato un inizio del vertice del G7 che mi ha fatto riflettere e che non dimenticherò. Soprattutto ora che la Russia minaccia nuovamente di usare armi nucleari». Al solito, nessun cenno a chi davvero sganciò la bomba atomica sulla popolazione giapponese, gli Stati Uniti, lasciando invece pesare un avverbio ambiguo: quel «nuovamente», solo per distogliere lo sguardo da Washington e orientarlo su Mosca.
Vogliamo capire sì o no che il problema è gigantesco, drammatico, potenzialmente catastrofico? Siamo diventati dipendenti da una rete di sabotaggio della pace impiantata in Europa, sostenuta in modo cinico dalle potenze anglosassoni per rendere totalmente vassalla la politica e l’economia del continente. Una rete di sabotaggio della pace animata da personaggi che usano l’arma pesante del revisionismo storico e vanno a letto con pericolosi ipernazionalisti che pensano che si possa umiliare, smembrare e debellare la Russia alla fine di una guerra totale. I dirigenti europei girano la testa dall’altra parte. Un anno dopo la distruzione del gasdotto Nord Stream fanno ancora finta di non sapere chi sia stato. Le mafie contano sempre sull’omertà e la paura. Tanto più le mafie più grosse, specie quando diventano particolarmente sfacciate nel non nascondere la loro sostanza. Dobbiamo saperlo.