In memoria della sovranità perduta

La sera del 17 marzo 2011 Giorgio Napolitano, in veste di Presidente della Repubblica, convoca d’urgenza il Consiglio Supremo di Difesa, un organo costituzionale collegiale e “camaleontico” che consente al Quirinale di rimodellare il potere del governo a seconda del contesto militare contingente. La contingenza del momento è la vigilia della guerra di aggressione alla Libia, su cui si approntano gli ultimi cavilli per perfezionare il pretesto giuridico prima che decollino i bombardieri dei paesi Nato. Oltre ai ministri e i generali tassativamente elencati dalle norme, possono partecipare alla riunione anche altri soggetti titolati. Viene invitato anche Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa nel governo di Silvio Berlusconi. Il Crosetto del 2011 non è ancora quello del 2022-2023. Apre bocca per dire che la guerra alla Libia è una “follia totale” per la quale rischiamo presto di pagare pesanti conseguenze.

Giorgio Napolitano non indugia un istante. Lo fa prendere di peso (e non dev’essere facile) e lo butta fuori dalla riunione, dicendogli che lì non ci fa nulla. Berlusconi rimane solo a dirsi contrario all’attacco alla Libia (con cui l’Italia ha addirittura firmato pochi mesi prima un accordo di mutua difesa contro eventuali aggressioni militari). Sotto la guida di Re Giorgio, l’Italia rovescia ogni sua precedente posizione e interesse rispetto alla Libia e compartecipa alla creazione di un buco nero geopolitico che ancora ci condiziona.

Il Crosetto del 2023, l’entusiasta sprecone di miliardi nel tritacarne ucraino, dimostra che Napolitano ha vinto. Non la guerra, che era e resta un pessimo affare per la Repubblica italiana. Ha vinto la piena trasformazione del Quirinale in un’istituzione che funge da camera di compensazione fra gli interessi dello Stato profondo in connessione con le organizzazioni sovranazionali che pretendono un vincolo esterno militare, politico ed economico, un vincolo che lascia sempre meno briciole ai poteri soggetti a qualche rito e suffragio democratico. Un Quirinale dedicato a tempo pieno a perpetuare il proprio modello, che sopravvive ai cambi di inquilino e alla scomparsa fisica dei protagonisti.

Questo è funzionale a rendere ancora più irrilevanti i brevi passaggi dei politici nell’altro edificio del potere italiano, Palazzo Chigi. Nel 2012 Napolitano coopta e impone Mario Monti, non il primo e neanche l’ultimo dei terminali tecnici di quel “pilota automatico” secondo il quale puoi cambiare i governi ma non le politiche davvero consentite.

Il “modello Napolitano” è stato l’autoconservazione di un sistema opaco che ha trasformato la Repubblica italiana in una repubblica presidenziale dai poteri esorbitanti senza elezioni e contrappesi adeguati.

Qualsiasi progetto politico che voglia cambiare qualcosa non può eludere questo difficile nodo istituzionale. Se non viene affrontato, ogni pretesa è già velleitaria prima ancora di essere messa alla prova.

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