L’Autonomia Sarda all’Anno Zero

 
Il voto sardo che ha incoronato Alessandra Todde presidente può essere visto come una torta con tanti strati, ciascuno dei quali offre una lettura diversa di un fenomeno complesso, dove si incrociano motivi locali e influenze politiche più vaste. Avremo modo di vedere più compiutamente in un secondo momento.
Uno strato della torta elettorale ci dice che è stata una netta sconfitta del Centrodestra. Non potevano non pesare in negativo i cinque scadentissimi anni di Christian Solinas. Un mese fa segnalavo che la sua presidenza «è stata il suggello finale della parabola discendente dell’autonomia regionale della Sardegna. Il suo mandato è l’espressione di un intero sistema colpito dalla crisi come un pugile in difesa passiva in balia dei pugni del mondo. Solinas è il più impopolare dei presidenti di regione di tutta la Repubblica, ma lo è in quanto è il parafulmine della fine del “secolo breve” dell’Autonomia.» Il candidato presidente proposto in luogo di Solinas, il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, ha pensato di cavarsela con il più paraculo degli slogan: «Nessuno slogan». Per sua somma sfiga, il non-slogan ha trasmesso proprio la verità delle cose: dava l’impressione di un tizio che aspettasse il suo turno dal salumiere, con il portafoglio gonfio, in attesa di ricevere una dovuta dose di affettato, senza altro sforzo che il tempo incolore della fila. Gli abitanti della città metropolitana di Cagliari hanno aggiunto un’ulteriore punizione che, più che il malgoverno di Solinas, castigava gli specifici difetti di Truzzu nel governare la capitale sarda. Una bocciatura senza appello che nella ponderazione del risultato di tutta la Sardegna è risultata decisiva.
Un altro strato della torta dal lato del centrodestra ci rivela una debolezza del traino della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, la specialista delle finte sovranità, che lascia scoperti i limiti enormi della classe dirigente che la sostiene. Per anni sono state sottolineate le mediocrità e le inadeguatezze dell’ondata grillina, ma se Sparta piange, Atene ha ben poco da ridere. E con Giorgia di Kiev e di Tel Aviv si aggiunge pure un senso di insicurezza e inquietudine che ha trovato sfogo anche nel voto di chi teme la guerra.
Per contro, Alessandra Todde, che ha guidato il centrosinistra fino alla vittoria, ha un profilo da dirigente che dice dei sì e dei no fermi, una di quelle persone che non affronti a chiacchiere ma solo se hai studiato. L’ho conosciuta bene durante la mia esperienza parlamentare e non mi stupisce che la sua candidatura si sia affermata sul campo, resistendo anche alla scissione dell’ex presidente Renato Soru.
Per pigrizia mia ripropongo ‘paro paro’ quel che scrissi un mese fa sulla sua operazione politica: «Sarà tuttavia a capo di una coalizione di partiti che hanno avuto gravi responsabilità nel deperimento sempre più vorticoso dei servizi pubblici essenziali, quando hanno avuto anche loro le redini della macchina regionale. Ha insomma dietro di sé un ceto politico che si ripropone in modo stanco come l’intermediario delle risorse europee, in una rincorsa di tardivi adattamenti a standard irraggiungibili.» Il tempo del “secolo breve dell’Autonomia” è scaduto, e Todde si trova in mano delle leve bloccate. La saggezza della dialettica greca antica riconosceva il concetto di “aporia”, un vicolo cieco logico dove il cammino sembra bloccato da due conclusioni opposte, entrambe solide ma inconciliabili. L’unico metodo per superare questa impasse, costituita da un doppio vicolo cieco, consiste nel ritornare alle premesse di partenza per individuare l’incoerenza che ci ha condotto a pagare il prezzo di tale impasse al termine del nostro ragionamento. È essenziale, in queste circostanze, identificare se esiste un fondamento che permetta di superare la contraddizione. Detto in parole povere, la nuova presidente ha l’ingrato compito di ripensare lo status giuridico della Sardegna nel suo insieme in relazione alla Repubblica italiana, e trovare una classe dirigente all’altezza, non solo nell’ambito della sua maggioranza, ma interpellando l’intero popolo sardo. Ripensare lo status giuridico della Sardegna in relazione alla Repubblica italiana significa mettere mano allo Statuto, alle leggi che regolano l’amministrazione regionale e la spesa pubblica, nonché ai provvedimenti che diano sostanza alle specificità e alle scelte politiche della nazione sarda.
Naturalmente – e con tutta la modestia e l’obiettività che occorreranno per scoprire le cose per come sono – questa nazione sarda andrà studiata bene nella sua realtà effettuale. Chi sono i sardi oggi? Quelli che hanno votato sono stati poco più di 750mila. Quelli che non hanno votato sono quasi 700mila. Ecco, innanzitutto, chi sono questi 700mila? Perché non hanno votato? Che interessi hanno? Che idea di futuro hanno per sé, i figli e i nipoti? Tutta una nuova leva di leader politici accetta un sistema in cui la maggior parte degli elettori perde interesse nel processo elettorale. Di conseguenza, chi detiene il potere perde ogni connessione con le esigenze di ampi settori della popolazione esclusi dalla dialettica politica. Senza una reale comprensione delle necessità, emozioni, preoccupazioni e difficoltà quotidiane della maggioranza degli elettori che si astengono dal voto, si finisce per prendere decisioni che favoriscono solo una ristretta cerchia, che non rappresenta l’intera comunità. Questo porta inevitabilmente a errori, operando all’interno di un sistema che fallisce per sua stessa natura e tradisce l’obiettivo per cui è stato creato. Serve una profonda ricognizione dell’enorme voragine dei non-rappresentati.
Teniamo presente che la Sardegna si è trovata sempre più ai margini delle dinamiche italiane, che a sua volta l’Italia occupa una posizione periferica rispetto alle dinamiche europee, e che l’Europa è stata relegata ai margini dai nuovi assetti economici e geopolitici globali, diventando bersaglio di una strategia occidentale che mira a renderla sottomessa e a limitarne le opportunità di relazioni vantaggiose con altri continenti, con venti di guerra sullo sfondo.
Pertanto, chiedo: quale dovrà essere il ruolo della Sardegna nel contesto globale? La risposta richiede un approccio che integri visioni politiche, culturali ed economiche capaci di affrontare efficacemente questa questione.

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