Tre note sparse

 
1) in queste ore si aggiunge un nuovo conflitto armato in Azerbaigian, dentro il domino caucasico. Potremmo vederlo isolatamente e capirci poco. Io cerco di vedere una questione più di fondo che ha a che fare con l’intero spazio post-sovietico. L’URSS era un melting pot e i confini interni delle sue repubbliche e delle numerosissime enclaves erano stati disegnati in funzione di quello stato unitario. Venuto meno quello stato, sono rimasti i confini, solo che sono disfunzionali rispetto a decine di processi di edificazione di nuovi stati, con diverse classi dirigenti portate a forzare in chiave nazionalistica il crogiuolo di etnie. Anche la guerra in Ucraina è frutto di questa vasta crisi, su cui gli anglosassoni e i loro vassalli fanno leva per i loro obiettivi. Credo che serva una conferenza internazionale vecchio stile, con una soluzione politica per una lunga catena di vari Alto Adige-Südtirol che possano fare pace con i nuovi confini, un disarmo controllato, un accordo sulle risorse.
 
2) continuano gli attacchi dei tanti kapò che vorrebbero intoccabile la narrazione sullo Grande Morbo dello Secolo, dopo la trasmissione di Foa in cui un medico contrario a quella narrazione ha potuto parlare per una volta senza essere insolentito e boicottato. Come accade da anni, oltre ai mascalzoni che guidano le testate giornalistiche peggiori d’Europa, vedo legioni di individui sinceramente autoconvinti di essere democratici e liberi, ma che ritengono giusto e normale ridurre al silenzio le opinioni sgradite e non riescono a riconoscere il livello violento del proprio conformismo gregario.
 
3) fiumi d’inchiostro e di chiacchiere si sprecano sull’impatto delle migrazioni dall’Africa, ma senza studiare l’enorme sommovimento che agita grandi porzioni di quel continente. Pseudoesperti e imprenditori sia dell’accoglienza indiscriminata che della xenofobia più chiassosa, falliscono tutti di fronte a un fenomeno che travolge le visioni ristrette. Ed è un bel guaio, perché proprio di visioni ristrette vivono i miseri padroni del discorso europeo e i loro “clientes”. Si ascolti quel che racconta Michelangelo Severgnini con i suoi documentari, e si chiuda una volta per tutte l’infame coda del neocolonialismo sopravvissuto a se stesso per sessant’anni di troppo. Anche in questo caso una conferenza di pace ha molto senso.

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