Salvate il soldato Galli


La macchina dei kapò che abusano della parola ‘negazionista’ è a pieno regime dopo la puntata di “Giù la maschera” di ieri, su Rai Radio1.
I fucili sono puntati su uno degli ospiti della trasmissione, Massimo Citro, al quale rimproverano la contrarietà alle terapie geniche imposte per affrontare “Lo Grande Morbo Dello Secolo”. E ovviamente puntano i fucili anche su Marcello Foa, che pratica una cosa per loro insopportabile: un giornalismo onesto e pluralista.
Eppure, ne avrebbero da indignarsi, se avessero considerato le parole dell’intoccabile Massimo Galli, una delle ‘vedette’ più acclamate ai tempi dei siparietti di Tele-Ipocondria. Proprio Galli, proprio ieri e proprio in quella trasmissione, ha osato dire che i problemi degli eventi avversi post-inoculazione sono soltanto «fanfaluche», perché «fino ad adesso, non si è avuto un reale significativo riscontro di eventi collaterali gravi». Quello di Galli è un infame insulto agli “invisibili” che reclamano un po’ di attenzione sulle loro personali tragedie di quest’epoca folle. Ed è un approccio irresponsabile, nel momento in cui le tavole di mortalità vedono un allarmante incremento dei decessi per anno in tutti i paesi. Nulla da dire su di lui?
Secondo il direttore di Radio1, Francesco Pionati, i conduttori delle trasmissioni «in presenza di dichiarazioni estreme rese dai loro ospiti» dovrebbero precipitarsi con la lingua penzoloni «a chiarire che le stesse sono fatte a titolo personale e non rispecchiano in alcun modo la posizione della redazione e della Rete». Però c’è Massimo e Massimo. Su Citro la tempesta, su Galli la licenza di sproloquio, come ieri e come quando non gli bastavano mai i confinamenti e i lockdown perché prevedeva catastrofici collassi delle terapie intensive che puntualmente non si verificavano. E quando da Fazio quell’altro profeta dell’insulto e della paura, Roberto Burioni, diceva che quel farmaco di cui faceva il piazzista «protegge dal contagio», eravamo certo «in presenza di dichiarazioni estreme» rese da un ospite. Ma i kapò di oggi se ne beavano, anziché inchiodarlo con una rigorosa confutazione delle sue falsità.
Insomma, siamo ancora fermi lì, a quella narrazione, alle loro censure, al loro squadrismo per procura. Per questo la vicenda di questa trasmissione radio è ancora attuale e importante per quel che resta della libertà di parola.

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